Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

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Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi Aragorn il 09 gen 2008, 16:21

Per Bassolino il miracolo non deve farlo San Gennaro, ma lo farà il termovalorizzatore di Acerra. Quando sarà ultimato, tutti i problemi di Napoli si scioglieranno come il sangue del santo. Ma siamo proprio sicuri che sia veramente così? E poi, perché se questo inceneritore era così importante non è ancora terminato? Solo colpa delle proteste?
Per capirlo siamo venuti in questa cittadina a quindici chilometri da Napoli. Il termovalorizzatore resta un concetto astratto fino a quando non si materializza con i suoi tre tubi di acciaio che svettano su campi di carciofi, distese di cavolfiori e serre di insalate. Qui è tutto fermo. Sembrerebbe abbandonato, se all'ingresso non ci fossero gli uomini della vigilanza. «Non c'è nessuno. Facciamo la guardia a un fantasma». Il cantiere è stato bloccato dai magistrati che indagano per truffa aggravata ai danni dello Stato, frode in forniture pubbliche e violazione ambientale. Accusati Bassolino e i vertici della Fibe, la società che ha vinto l'appalto.
CATENE DI ERRORI
In tutto il resto del mondo per realizzare un inceneritore servono un anno, massimo due. A Napoli non ne sono bastati sei. Perché? «Hanno dato la colpa a noi. Ora dicono che la causa dei ritardi sono state le nostre proteste. È vero, noi abbiamo manifestato, ma quando la Fibe era pronta per far partire i lavori, è arrivato l'esercito e il cantiere è stato aperto con la forza», si anima l'architetto Virginia Petrellese del comitato "Donne 29 agosto". «La verità è che dietro questo termovalorizzatore c'è una serie infinita di errori, una grande truffa che si sta realizzando sotto i nostri occhi e sulla nostra pelle. Per chi vive al Nord è difficile capire. Perché li se un'istituzione dice che si può costruire un impianto, significa che ha fatto tutti i controlli e che non ci sono rischi. Da noi non è così», aggiunge Rosanna Leone.
E poi ci sono le ecoballe che in Campania sono delle colossali balle che di ecologico non hanno nulla: sono spazzatura. «Se anche l'impianto fosse stato realizzato prima, che cosa avremmo bruciato? La Fibe ha accumulato sei milioni di ecoballe che non possono essere messe nell'inceneritore perché tossiche. E poi si doveva partire dalla raccolta differenziata, da siti di compostaggio che avrebbero eliminato i rifiuti umidi, quelli più dannosi», si infervora Virginia.
Le stranezze di questa storia sono tante. A partire dalla gara d'appalto decisa dal commissario per i rifiuti, l'allora presidente della Campania, Antonio Rastrelli. «Un bando che sembra cucito addosso alla Fisia, poi diventata Fibe, del gruppo Impregilo che allora era deEa famiglia Romiti. C'erano altri due concorrenti, l'Enel e l'Ansaldo, che avevano presentato progetti tecnologicamente più avanzati, ma la Commissione ha privilegiato l'offerta economica e il tempo di consegna», spiega Tommaso Sodano, presidente della Commissione bicamerale di inchiesta sui rifiuti, l'uomo (di Rifondazione Comunista) che per primo ha denunciato le irregolarità nella costruzione del termovalorizzatore. «Bassolino non avrebbe dovuto firmare quell'atto». Ma il governatore ha sempre detto di averlo fatto per «assicurare continuità amministrativa».
La Fisia vince nonostante abbia i voti più bassi per gli aspetti tecnici (tra cui anche uno zero). Enel, invece, ottiene un punteggio altissimo. Ma la Fisia chiede 83 lire per ogni chilogrammo di rifiuti da smaltire, a fronte delle 110 della concorrente. Risparmio e velocità. Peccato che sette anni dopo l'inceneritore sia pronto «al novanta per cento», dicono dalla ditta. E i costi siano lievitati rispetto ai 500 miliardi di lire iniziali. In più si è dovuto fare un altro bando da 50 milioni di euro per completare e gestire l'impianto. «Un'altra assurdità è che non sia stata fatta una valutazione di impatto ambientale», aggiunge l'avvocato Tommaso Esposito, portavoce del comitato contro l'inceneritore. C'è un parere della Commissione competente che ha autorizzato l'impianto nonostante, si legge nella relazione, «gli effetti legati all'emissione di gas si ripercuotono sulla salute umana e sull'ecosistema agricolo».
L'EMERGENZA FATALE
Passano due anni e i lavori partono. Nel 2005 Bruno Agricola, direttore generale del Ministero dell'Ambiente, sentito dalla commissione speciale sui rifiuti, riferisce: «Quando si va in ambulanza magari si passa anche con il rosso,
però si sta andando in ospedale». Come dire, c'era l'emergenza e questo giustifica tutto. Il Commissario straordinario Corrado Catenacci va oltre. E dice: «Se fosse stato per me, il termovalorizzatore ad Acerra non l'avrei fatto. Ma, vi prego, di non dirlo in giro, altrimenti dovremo sopportare gli strali del mio sindaco».
Ci sono errori, distrazioni, superficialità. Dall'inchiesta emerge che Bassolino non aveva mai letto il contratto Fibe, quello da cui è nata l'infinita emergenza rifiuti. Ma c'è un altro capitolo. Il più triste. È quello che terrorizza che vive qui: la diossina. «La nostra è una terra già devastata. Proprio dove adesso sorge l'inceneritore, per decenni ha lavorato la Montefibre, un'industria chimica che, insieme con le tonnellate di rifiuti tossici sversati a prezzi concorrenziali su questi terreni dalla camorra, ha trasformato Acena in un lato del cosiddetto "triangolo della morte", dove negli ultimi 7 anni la mortalità è aumentata dell'85%. Si muore di tumore. E si nasce con gravi malformazioni. Qui c'è una concentrazione di diossina cento volte superiore alla quantità minima stabilita dall'Organizzazione mondiale della sanità».
ORTAGGI A RISCHIO
«Da sempre abbiamo un pezzo di terra tra la Montefibre e l'inceneritore. Qui, da generazioni pascolavano i nostri animali e noi vendevamo latte e formaggi. Avevamo tremila capi», racconta Mario Cannavacciuolo, un allevatore di ovini che adesso ha perso tutto. «Dalla fine degli anni Novanta le nostre pecore hanno cominciato a morire. Uno sterminio. Poi sono nati animali senza occhi, con strane macchie, senza mandibole. Mostri deformi». A fine dicembre le pecore sono state abbattute: la Asl ha accertato che erano contaminate dalla diossina. Mario si commuove perché quelle bestie erano la sua vita. Allarga le braccia: «Ora sono disoccupato». Accanto a dove pascolavano le pecore di Mario, crescono ortaggi, frutta e verdura che arrivano sugli scaffali dei supermercati di tutta Italia.
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NDUSTRIE INQUINANTI E PECORE DEFORMI
Il termovalorizzatore di Acerra, a circa 15 km da Napoli, non è mai entrato in funzione. Anche perché realizzato su un terreno ricco di diossina. Tanto che le pecore abituate a pascolare tra l'inceneritore e l'ex industria chimica Montefibre hanno iniziato a morire e a partorire esseri mostruosi senza occhi o mandibole. Ma nella zona ortaggi e verdure continuano a essere coltivati e venduti regolarmente

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L'allarme salute
I DATI ISTAT
Dal '94 al 2001 il tasso di mortalità nella provincia di Napoli è aumentato del 43% negli uomini e del 47% nelle donne. Le cause di morte: tumore allo stomaco, al fegato e ai polmoni. Si sono registrati anche aumenti delle malformazioni fetali.

IL MONITORAGGIO
Su richiesta dei cittadini l'AsI di Acena sottoponi ad esami i residenti per verificare la presenza di diossina nel sangue. In questo territorio la concentrazione di diossina è di cento volte superiore rispetto alle quantità minime stabilite dall'Oms.


Fonte: libero


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Re: Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi takion il 09 gen 2008, 16:34

Vuoi vedere che si sentiranno rispondere che è meglio per loro così sono già "vaccinati"..? Non sarebbe la prima ed unica volta!

Quello che però mi ha dato enorme fastidio è l'attacco contro le forze di polizia, contro i pompieri ed altri intervenuti in soccorso. Non lo trovo giusto, visto che anche loro stanno vivendo e respirando quell'aria mefitica, sia a Napoli che dintorni. Anzi: vorrei sapere quanti tra loro hanno parenti che vivono di prima persona la situazione!

Ancora non esiste quel grado di maturità che dia luogo a dissensi forti, tanto da far fermare ogni cosa.

Intanto che costruiscono, gli altri producono altra "monnezza" e la cosa pertanto quando finirà?
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Re: Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi diegofio il 09 gen 2008, 16:37

siamo in italia, dove al solito l'appalto viene dato a chi dichiara costi minori di produzione. poco importa se poi la produzione non vedrà la luce e i costi diventano insostenibili.

il problema non è solo tecnico sui termovalorizzatori, ma come spesso accade di cultura di fondo: purtroppo al sud non si ha ancora la cultura del riciclo dei rifiuti che al nord è più diffusa (scusate la generalizzazione), e queste sono le conseguenze.

comunque sul wiki c'è un articolo interessante che parla anche dei presunti danni ambientali di sti aggeggi
http://it.wikipedia.org/wiki/Inceneritore
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Re: Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi Aragorn il 09 gen 2008, 16:38

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x 2 settimane tranquillo in vacanza mentre a napoli scoppiava il caos, il casino è stato creato sopratutto da lui che ha posto il veto al governo pena farlo cadere x l'utilizzo di nuove discariche come previsto dal piano di emergenza presentato 6 mesi fa da Bertolaso e ora va in tv dicendo mandiamoci l'esercito... che pena d'uomo


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Re: Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi Ibanez89 il 09 gen 2008, 16:45

:( povere bestie
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insomma poco alla volta mi si sta bruciando tutto :asd:

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Re: Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi Aragorn il 09 gen 2008, 16:53

ora sembra che cmq la regione lazio smaltirà i rifiuti napoletani... mentre lombarida piemonte e veneto han detto nn se ne parla nemmeno

ma x' il lazio si? ma forse x' è feudo veltroniano e regione del centro sx? forse x' la signora bassolino si chiama Anna Carloni e di professione fa la senatrice per la maggioranza e ha già fatto sapere che è pronta a far cadere il governo se nn aiutano il marito?

che pena l'italietta


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Re: Il fantasma di Acerra: ecoballe tossiche e pecore deformi

Messaggiodi takion il 09 gen 2008, 16:55

Intanto la Cina rilancia un vecchio metodo, però molto efficace che permette sia il risparmio che la salute.

"Riprendete i cesti per le verdure"
Al bando in Cina le buste di plastica
ROMA - Il mosaico dei provvedimenti presi dalla Cina nella rincorsa a uno sviluppo più rispettoso dell'ambiente si arricchisce di un'altra tessera. Dopo i severi limiti alle emissioni delle automobili (la legge del 2004 fissa regole più dure che negli Usa) e il boom delle fonti rinnovabili, le autorità di Pechino hanno annunciato la messa al bando della produzione di sacchetti di plastica. Il divieto, che scatterà dal prossimo primo giugno, riguarda le buste realizzate con materiale sottile (sotto i 0,025 millimetri di spessore), mentre quelle più spesse e resistenti potranno continuare a essere usate. I negozianti saranno obbligati però a farle pagare ai consumatori, indicandone chiaramente il prezzo alla cassa, dissuadendoli quindi da un uso indiscriminato.

Secondo alcune stime, in Cina ogni giorno vengono utilizzati circa tre miliardi di sacchetti. Una quantità immensa, che crea al Paese due diversi ordini di problemi. Il primo è naturalmente quello dello smaltimento di questa enorme quantità di plastica che spesso nel giro di poche ore si trasforma in spazzatura. Il secondo è legato alla necessità di ridurre le importazioni petrolifere. Per produrre il suo fabbisogno di buste, la Cina deve raffinare ogni anno 5 milioni di tonnellate di greggio (37 milioni di barili). Difficile quindi pensare a una semplice coincidenza tra il varo in fretta e furia della nuova legge e il crescere delle preoccupazioni per l'impennata del costo del petrolio, con lo sfondamento della soglia psicologica dei 100 dollari al barile.

"Il nostro Paese consuma enormi quantità di buste di plastica ogni anno. Se da un lato rappresentano una comodità, dall'altro hanno provocato un grave inquinamento e uno spreco di risorse ed energia, per via del loro uso eccessivo e del mancato riciclaggio. Dobbiamo incoraggiare le persone a ritornare all'uso delle buste di stoffa e dei cesti per le verdure", si legge nella nota del governo sul suo sito web.

La decisione di Pechino allunga la lista dei Paesi che hanno deciso di dichiarare guerra ai sacchetti non biodegradabili. La messa al bando parziale o totale delle buste sintetiche è stata già avviata, con diverse date per lo stop definitivo, in Francia, in Uganda, in Australia, in diverse città degli Stati Uniti e in Bangladesh, dove il provvedimento è stato varato nel 2002 quando si è scoperta la responsabilità dei sacchetti di plastica nell'intasare il sistema di deflusso delle acque, aggravando drammaticamente i danni delle frequenti alluvioni. Del problema sta discutendo anche la municipalità di Londra, mentre l'Irlanda ha preferito cercare di centrare l'obiettivo della loro riduzione con una supertassazione.

La piaga del dilagare dei sacchetti è stata affrontata anche in Italia, ma con le solite ambiguità e contraddizioni. La passata legge finanziaria ne fissava la messa al bando per il 2010, motivando la scelta sia con la necessità di ridurre la produzione di rifiuti, sia come forma di incentivazione all'industria nazionale dell'agri-tech attraverso la produzione di surrogati di origine vegetale. "Ma nell'anno appena trascorso non è stato fatto neppure un passo per rendere operativa questa scelta", denuncia il coordinatore dell'ufficio scientifico di Legambiente Stefano Ciafani. "Il 2010 - aggiunge - è praticamente dopodomani mattina, ma né il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio né quello dello Sviluppo Economico Bersani hanno dato disposizioni per organizzare la necessaria filiera agricola e industriale".


E credo che i problemi da loro siano molto più pesanti, anche data l'enorme popolazione. Forse sarebbe il caso di tornare a quel metodo anche in Italia, o almeno con buste ecologiche a costo irrisorio, dato che un sacchetto ecologico costa sino ad 1 €uro!
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