Per Bassolino il miracolo non deve farlo San Gennaro, ma lo farà il termovalorizzatore di Acerra. Quando sarà ultimato, tutti i problemi di Napoli si scioglieranno come il sangue del santo. Ma siamo proprio sicuri che sia veramente così? E poi, perché se questo inceneritore era così importante non è ancora terminato? Solo colpa delle proteste?
Per capirlo siamo venuti in questa cittadina a quindici chilometri da Napoli. Il termovalorizzatore resta un concetto astratto fino a quando non si materializza con i suoi tre tubi di acciaio che svettano su campi di carciofi, distese di cavolfiori e serre di insalate. Qui è tutto fermo. Sembrerebbe abbandonato, se all'ingresso non ci fossero gli uomini della vigilanza. «Non c'è nessuno. Facciamo la guardia a un fantasma». Il cantiere è stato bloccato dai magistrati che indagano per truffa aggravata ai danni dello Stato, frode in forniture pubbliche e violazione ambientale. Accusati Bassolino e i vertici della Fibe, la società che ha vinto l'appalto.
CATENE DI ERRORI
In tutto il resto del mondo per realizzare un inceneritore servono un anno, massimo due. A Napoli non ne sono bastati sei. Perché? «Hanno dato la colpa a noi. Ora dicono che la causa dei ritardi sono state le nostre proteste. È vero, noi abbiamo manifestato, ma quando la Fibe era pronta per far partire i lavori, è arrivato l'esercito e il cantiere è stato aperto con la forza», si anima l'architetto Virginia Petrellese del comitato "Donne 29 agosto". «La verità è che dietro questo termovalorizzatore c'è una serie infinita di errori, una grande truffa che si sta realizzando sotto i nostri occhi e sulla nostra pelle. Per chi vive al Nord è difficile capire. Perché li se un'istituzione dice che si può costruire un impianto, significa che ha fatto tutti i controlli e che non ci sono rischi. Da noi non è così», aggiunge Rosanna Leone.
E poi ci sono le ecoballe che in Campania sono delle colossali balle che di ecologico non hanno nulla: sono spazzatura. «Se anche l'impianto fosse stato realizzato prima, che cosa avremmo bruciato? La Fibe ha accumulato sei milioni di ecoballe che non possono essere messe nell'inceneritore perché tossiche. E poi si doveva partire dalla raccolta differenziata, da siti di compostaggio che avrebbero eliminato i rifiuti umidi, quelli più dannosi», si infervora Virginia.
Le stranezze di questa storia sono tante. A partire dalla gara d'appalto decisa dal commissario per i rifiuti, l'allora presidente della Campania, Antonio Rastrelli. «Un bando che sembra cucito addosso alla Fisia, poi diventata Fibe, del gruppo Impregilo che allora era deEa famiglia Romiti. C'erano altri due concorrenti, l'Enel e l'Ansaldo, che avevano presentato progetti tecnologicamente più avanzati, ma la Commissione ha privilegiato l'offerta economica e il tempo di consegna», spiega Tommaso Sodano, presidente della Commissione bicamerale di inchiesta sui rifiuti, l'uomo (di Rifondazione Comunista) che per primo ha denunciato le irregolarità nella costruzione del termovalorizzatore. «Bassolino non avrebbe dovuto firmare quell'atto». Ma il governatore ha sempre detto di averlo fatto per «assicurare continuità amministrativa».
La Fisia vince nonostante abbia i voti più bassi per gli aspetti tecnici (tra cui anche uno zero). Enel, invece, ottiene un punteggio altissimo. Ma la Fisia chiede 83 lire per ogni chilogrammo di rifiuti da smaltire, a fronte delle 110 della concorrente. Risparmio e velocità. Peccato che sette anni dopo l'inceneritore sia pronto «al novanta per cento», dicono dalla ditta. E i costi siano lievitati rispetto ai 500 miliardi di lire iniziali. In più si è dovuto fare un altro bando da 50 milioni di euro per completare e gestire l'impianto. «Un'altra assurdità è che non sia stata fatta una valutazione di impatto ambientale», aggiunge l'avvocato Tommaso Esposito, portavoce del comitato contro l'inceneritore. C'è un parere della Commissione competente che ha autorizzato l'impianto nonostante, si legge nella relazione, «gli effetti legati all'emissione di gas si ripercuotono sulla salute umana e sull'ecosistema agricolo».
L'EMERGENZA FATALE
Passano due anni e i lavori partono. Nel 2005 Bruno Agricola, direttore generale del Ministero dell'Ambiente, sentito dalla commissione speciale sui rifiuti, riferisce: «Quando si va in ambulanza magari si passa anche con il rosso,
però si sta andando in ospedale». Come dire, c'era l'emergenza e questo giustifica tutto. Il Commissario straordinario Corrado Catenacci va oltre. E dice: «Se fosse stato per me, il termovalorizzatore ad Acerra non l'avrei fatto. Ma, vi prego, di non dirlo in giro, altrimenti dovremo sopportare gli strali del mio sindaco».
Ci sono errori, distrazioni, superficialità. Dall'inchiesta emerge che Bassolino non aveva mai letto il contratto Fibe, quello da cui è nata l'infinita emergenza rifiuti. Ma c'è un altro capitolo. Il più triste. È quello che terrorizza che vive qui: la diossina. «La nostra è una terra già devastata. Proprio dove adesso sorge l'inceneritore, per decenni ha lavorato la Montefibre, un'industria chimica che, insieme con le tonnellate di rifiuti tossici sversati a prezzi concorrenziali su questi terreni dalla camorra, ha trasformato Acena in un lato del cosiddetto "triangolo della morte", dove negli ultimi 7 anni la mortalità è aumentata dell'85%. Si muore di tumore. E si nasce con gravi malformazioni. Qui c'è una concentrazione di diossina cento volte superiore alla quantità minima stabilita dall'Organizzazione mondiale della sanità».
ORTAGGI A RISCHIO
«Da sempre abbiamo un pezzo di terra tra la Montefibre e l'inceneritore. Qui, da generazioni pascolavano i nostri animali e noi vendevamo latte e formaggi. Avevamo tremila capi», racconta Mario Cannavacciuolo, un allevatore di ovini che adesso ha perso tutto. «Dalla fine degli anni Novanta le nostre pecore hanno cominciato a morire. Uno sterminio. Poi sono nati animali senza occhi, con strane macchie, senza mandibole. Mostri deformi». A fine dicembre le pecore sono state abbattute: la Asl ha accertato che erano contaminate dalla diossina. Mario si commuove perché quelle bestie erano la sua vita. Allarga le braccia: «Ora sono disoccupato». Accanto a dove pascolavano le pecore di Mario, crescono ortaggi, frutta e verdura che arrivano sugli scaffali dei supermercati di tutta Italia.
NDUSTRIE INQUINANTI E PECORE DEFORMI
Il termovalorizzatore di Acerra, a circa 15 km da Napoli, non è mai entrato in funzione. Anche perché realizzato su un terreno ricco di diossina. Tanto che le pecore abituate a pascolare tra l'inceneritore e l'ex industria chimica Montefibre hanno iniziato a morire e a partorire esseri mostruosi senza occhi o mandibole. Ma nella zona ortaggi e verdure continuano a essere coltivati e venduti regolarmente
L'allarme salute
I DATI ISTAT
Dal '94 al 2001 il tasso di mortalità nella provincia di Napoli è aumentato del 43% negli uomini e del 47% nelle donne. Le cause di morte: tumore allo stomaco, al fegato e ai polmoni. Si sono registrati anche aumenti delle malformazioni fetali.
IL MONITORAGGIO
Su richiesta dei cittadini l'AsI di Acena sottoponi ad esami i residenti per verificare la presenza di diossina nel sangue. In questo territorio la concentrazione di diossina è di cento volte superiore rispetto alle quantità minime stabilite dall'Oms.
Fonte: libero