Leggetevi il racconto del capopolo (si fa chiamare Ernesto) che ha scatenato l'aggressione: "Eccome qua, io sarei il nazista che stanno a cercà da tutti i pizzi. Guarda qua. Guarda quanto sò nazista...". La mano sinistra solleva la manica destra del giubbetto di cotone verde che indossa, scoprendo la pelle. L'avambraccio è un unico, grande tatuaggio di Ernesto Che Guevara. "Hai capito? Nazista a me? Io sono nato il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori e al nonno di mia moglie, nel ventennio, i fascisti fecero chiudere la panetteria al Pigneto perché non aveva preso la tessera".

Per giorni ci hanno raccontato che Roma era sotto scacco che un filo nero collegava tutto: dall'aggressione al giovane gay, Christian Floris fino all'assalto ai negozi del Pigneto. Per giorni hanno voluto alludere al fatto che un fascista al Campidoglio aveva implicitamente scatenato il ventre nero della città, che la svastica fiammeggiante avrebbe infiammato i colli fatali di Roma. Ci sono state marce anti-fasciste, cortei di solidarietà, bandiere e fiaccole. Tutto contro un balordo col mito del "Che" deciso a vendicare in proprio il furto di un portafoglio.
Leggetevi l'intervista: certo non c'è nulla di edificante, è una storiaccia di violenze, degrado e vendette, ma in qualche modo "business as usual" per una città come Roma dove succede di molto peggio.
Non c'entra Alemanno, non c'entra il governo delle "destre". Le cose sono tristi e banali come sempre, ma non miglioreranno se le si cambia di nome.