Antifascismo di ritorno in casa Repubblica: la Nirenstein? Troppo ebrea per candidarsi col Pdl
di Luca Codignola
Il titolo di prima pagina dell'edizione genovese di Repubblica del 6 marzo mi ha lasciato senza parole: "L'ebrea Nirenstein per An nel Pdl". A quando, mi sono chiesto, un titolo sui negri, sui musi gialli o sui terroni? A quando, per esempio, un bel "Un maomettano nel partito di Bertinotti"? Ho preso carta e penna e ho subito scritto per protestare alla redazione genovese di Repubblica, con la quale saltuariamente (ma volentieri) collaboro per questioni soprattutto locali. Dopo due giorni di attesa, ho buoni motivi per credere che la mia protesta non verrà mai pubblicata. Fiamma Nirenstein è candidata a Genova per il Popolo della Libertà, e Repubblica non simpatizza né per lei né per il suo schieramento.
Ma se il titolone di prima pagina è soprattutto una caduta di stile, la seconda pagina, che entra nei contenuti, è molto peggio. Si chiede il giornalista Raffaele Niri, citando l'opinione di Raimondo Ricci, da una vita presidente dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI): "Cosa ci fa un'ebrea ... nelle liste del partito ... che ... è l'erede di Almirante e della Difesa della Razza"? Ed Elisa Della Pergola, il cui padre è morto ad Auschwitz ed è oggi impegnata nell'organizzazione Valori in Rosa, intervistata ancora da Niri, calca la dose: "Un ebreo non può farlo. E una donna ebrea ancora meno ... mi si è accapponata la pelle ... ho paura ... come quando ho visto Gianfranco Fini con la papalina, a Gerusalemme". E poi, ancora Ricci: "È una questione di radici: quelle degli ebrei ... stanno da una parte ... quelle di chi è stato l'erede [del fascismo] dall'altra. E le radici non si possono mischiare".
Insomma, ci dicono Ricci e Della Pergola, il pensiero e la vita una persona è oggettivamente determinata dalla sua appartenza razziale (chiamiamolo "sangue" o "radici", è la stessa cosa), che a sua volta va di pari passo con la sua appartenenza religiosa. Secondo loro, l'umanità continua a essere divisa tra razze e religioni. E ognuna di loro ha un pensiero unico, che, nel caso di resistenti ed ebrei, non può essere che coincidere con quello di Ricci e Della Pergola. Un antifascista o un ebreo che la pensi diversamente diventa automaticamente un "traditore", un "magnacucchi", o un "rinnegato". Qualcuno ricorda ancora la violenza dell'attacco comunista ai "Magnacucchi" del dopoguerra?
Qui non si tratta di dimenticare l'esperienza antifascista e lo sterminio degli ebrei (anche chi scrive proviene da una famiglia di partigiani e conta morti nei campi di concentramento), ma di non fare della memoria del passato un uso strumentale motivato soltanto dalla campagna elettorale in corso. A quando la possibilità di votare (o non votare) per una come Fiamma Nirenstein per quello che vale e che propone, e non perché è ebrea o ha (o avrebbe) rinnegato la sua razza e la sua religione?