Per la gente della generazione dei suoi le persone timide erano solo degli introversi, al massimo dei soggetti un po’ complicati, in qualche caso affascinanti per i loro modi riservati. Ma nessuno avrebbe mai pensato di definirli malati mentali. Sarebbero sorpresi nel dover constatare che la timidezza non è più solo un modo di essere: è considerata un disagio importante, dalle mille definizioni diverse, che si sente il bisogno di curare.
Christopher Lane, professore di Chicago, per il suo atto d’accusa al mondo della psichiatria americana sceglie il tema della timidezza in "Shyness: How Normal Behaviour Became a Sickness": in una società che fa abuso di diagnostica ed è supermedicata, le emozioni più classiche e parte della vita quotidiana di chiunque sono diventate malattie da rimuovere in quanto disordini mentali. Col risultato di una situazione in cui sempre più persone si considerano o vengono considerate malate, e contribuiscono alla diffusione della credenza per cui i disturbi del comportamento sono in crescita costante. Che le statistiche mostrino un aumento anno su anno dei disturbi legati al comportamento, all’apprendimento, alla socialità non è più una notizia per nessuno; l’uso di psicofarmaci in età evolutiva e le diagnosi (e svariate psicosi) di deficit dell’attenzione sono problematiche diffuse tra genitori ed educatori, accettate come inevitabile connotazione generazionale. Solo di rado si riesce a mettere in discussione l’esistenza di molti dei presunti problemi, essendo diffusa e condivisa l’idea che i disturbi delle nuove generazioni aumentino perchè troppi fattori esogeni influenzano negativamente i ragazzi.
Lane invece è persuaso che le cose stiano in un altro modo. Mostra che la Bibbia della professione psichiatrica mondiale, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) si è man mano trasformato dal libricino che era stato fino a una ventina d’anni fa, in un tomo voluminoso pieno di centinaia di nuove sindromi, molte delle quali descritte sbrigativamente e spesso con poca ricerca alle spalle. Fu all’inizio degli anni ottanta che l’Associazione Americana di Psichiatria iniziò ad aggiungere disturbi come la "fobia sociale“ nella nuova edizione del suo manuale, arrivato a contare cinquecento pagine, in cui i timidi si erano già trasformati in blandi psicotici. Per cui oggi non deve sorprendere che la timidezza faccia a gara con la depressione quanto a pandemia sociale.
Nè deve sorprendere che in mezzo a tanta abbondanza di devianze, le connotazioni "normali“ del comportamento finiscano per sembrare sempre di meno. Se tutte le varianti della psiche si sono trasformate in problemi da medicare, nella maggior parte dei casi con i farmaci, si ritiene che ogni aspetto della personalità possa essere ricondotto a un disturbo. Così come si potrà ritenere deviante ogni manifestazione di ossessione maniacale per un’attività, alla base dello sviluppo di molti talenti, e si potrebbe essere portati a reprimere l’eccellenza in nome della normalità controllata e conforme.
In questo scenario di psicosi diffuse, si confonderanno i malati che hanno davvero bisogno d’aiuto. Come argomenta Lane, è già in corso la "banalizzazione del disturbo cronico“, con tutta la sottrazione che comporta in termini di attenzione e di ricerca per le malattie mentali più gravi.
Ce n’è ovviamente anche per Big Pharma e per tutto il business della cura psichiatrica. In questi ultimi decenni il mercato per gli psicofarmaci si è decisamente fatto florido, e se come ben dice Lane "prima di vendere un farmaco, devi aver venduto bene la malattia“, non è su basi infondate che muove le sue accuse. La sua ricerca lo ha portato negli archivi dell’Associazione di Psichiatria, e le evidenze che ha raccolto non fanno fare proprio una bella figura a tutta la combriccola, impegnata a escogitare i diversi sistemi per far prosperare la propria fetta di business.