Prodi spera di salvarsi la vita con i senatori a vita
di Salvatore Dama
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Tutto sta in quel “potrei farcela anche stavolta” pronunciato da Romano Prodi prima di entrare a Montecitorio per la prima tappa della sua via crucis parlamentare. Il presidente del Consiglio arriva alla Camera in tarda mattinata per informare i deputati sullo stato della crisi di governo. E per “parlamentarizzarla”, cioè spostarla “dalle agenzie di stampa” e dai “salotti televisivi” restituendole una sede più propria. Parla, il Professore. Lo fa per una ventina di minuti rivendicando i successi (?) del proprio governo. Il delicato momento politico consiglierebbe prudenza. E invece il premier parte all’attacco. Vuole stanare i dissidenti. Capire se il vero nocciolo della questione sono davvero i problemi con la giustizia di Clemente Mastella, o “la questione della legge elettorale” e il timore dei partiti più piccoli dell’Unione di finire fagocitati dal Partito democratico.
Risultato? Prodi chiede alle camere di rinnovargli la fiducia. O la va o la spacca. A Montecitorio, anche senza l’Udeur, la maggioranza è autosufficiente e può andare avanti. I problemi come al solito arrivano dal Senato. Tant’è che più di un alleato ha consigliato al Professore di incassare il voto dei deputati e filare dritto al Quirinale lasciando la palla nelle mani del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, piuttosto che esporsi al rischio della sfiducia da parte dei senatori, che in molti già danno per cosa certa. Romano però va per la sua strada. Istinto suicida o sa il fatto suo?
Facciamo due conti. Da quando Franco Turigliatto (Sinistra critica) ha ufficialmente abbandonato il centrosinistra, ora i due schieramenti sono in perfetto equilibrio: 157 a 157. All’Unione, però, vanno sottratti i voti dell’Udeur. Sono 3, compreso quello dell’ex Guardasigilli. E, se è vero quanto dice Mastella (“siamo fuori dalla maggioranza e non diamo appoggio esterno”), vanno aggiunti al computo del centrodestra. Per cui, la situazione all’indomani del Ceppaloni-gate, è la seguente: 160 seggi per l’opposizione, 154 per il centrosinistra. Partita finita? Assolutamente no. Perché c’è sempre l’additivo in grigio, e cioè il sostegno dei senatori a vita. Con loro, Prodi potrebbe recuperare il gap: tolto il senatore Sergio Pininfarina, in quattro (Rita Levi Montalcini, Carlo Azeglio Ciampi, Emilio Colombo, Oscar Luigi Scalfaro) votano stabilmente con il centrosinistra. Va a fasi alterne, invece, Giulio Andreotti. Ma stavolta ha già annunciato il suo sì. Rimane nel dubbio l’orientamento di Francesco Cossiga, tuttavia il presidente emerito, quando il proprio voto è stato determinante per le sorti dell’esecutivo, ha sempre dato una mano nonostante i giudizi mai teneri su Prodi e compagni.
Tirando le somme: l’Unione, più i senatori non eletti, raggiungerebbe quota 160, come il centrodestra. Basta? Non basta. Perché in caso di pareggio la fiducia non passa ugualmente. E allora al Senato, in queste ore, è corsa frenetica alla seduzione di esponenti dell’opposizione. Come, lo si più facilmente intendere. Tant’è che più voci nel centrodestra già gridano “al mercato delle vacche”. Alla fine basterebbero una o due assenze per abbassare il quorum e spostare l’ago della bilancia in favore del governo.
Altro scenario: i senatori mastelliani invece di votare contro non partecipano al voto. Ciò riporterebbe il centrosinistra in vantaggio numerico grazie al sostegno dei senatori a vita. Possibile? Tutto tecnicamente lo è. Intanto, a Palazzo Chigi lavorano per mettere in sicurezza il consenso degli altri “eretici”. L’operazione sembra riuscita con Roberto Manzione e Willer Bordon. Ma anche con gli uomini di Lamberto Dini. Mentre si sta tentando di spingere Turigliatto verso un’assenza “forzata”. Un voto di differenza significa la sopravvivenza per il governo. Ma pure il collasso.