di Aragorn il 10 gen 2008, 15:08
di MARCELLO VENEZIANI
Ma come si permette Papa Nazinger a paragonare l'aborto alla pena di morte? Eccoli lì, tutti i papini e papera laici della sinistra progressista insorgere contro il blasfemo paragone di Sua Santità. Forse hanno ragione, pena di morte e aborto sono due cose diverse: la prima è una barbarie di Stato contro una barbarie più efferata, la seconda è una semibarbarie di Stato contro una semi-creatura innocente. Nella prima il criminale viene considerato nella pienezza della sua responsabilità, ovvero risponde fino in fondo del suo atto di morte; nella seconda la donna si assume una grande responsabilità, ma viene sollevata dal dover rispondere del suo atto, anzi viene giustificata e aiutata. In effetti pena di morte e aborto sono due cose diverse. Ma in un senso un po' differente rispetto a quello delle vulgate.
Finti progressisti
Una cosa del dibattito in corso non posso accettare: è la premessa di rito e di dogma che la legge 194 non si tocca. Lo ripetono tutti, perfino lo scaltro Giuliano Ferrara. Ora, io dico: questo dogma dell'in-toccabilità di una legge mi pare un assurdo, soprattutto se pronunciato nel nome della ragione contro la religione. Le
leggi dello Stato non sono leggi divine. Sono nate nel tempo e possono essere modificate nel corso del tempo. O dobbiamo arrestare la vita e la storia a un dato momento e dopo si può solo regredire? Ma che progressisti del piffero siete, ma che idea evolutiva della storia avete?
A differenza di tanti, io penso che la legge 194 vada non solo modificata ma rovesciata, perché lo spirito è esattamente contrario al buon senso e alla vita. Una legge dello Stato dovrebbe prefiggersi il compito principale di tutelare il diritto alla vita, e dovrebbe dunque avere come sua ispirazione di fondo la difesa del vivente a cominciare dal più debole. Solo dentro questo contenuto primario è possibile contemplare le ipotesi opposte e subordinate. Ovvero, fermo restando il primato della vita e la tutela del nascituro, ci possono essere situazioni di necessità che rimettono in discussione l'ipotesi di un'interruzione di gravidanza: per esempio la sicura e grave malformazione del feto, se non è eugenetica è darwinismo; per esempio, l'accertato e serio pericolo di vita della madre, se non decide liberamente con la sua responsabilità di procedere comunque; per esempio la gravidanza dopo uno stupro, sempre che la madre decida di sopprimere la sua creatura per metà figlia del diavolo o di chi ne fa le veci.
Orwell e la Fattoria
Ma la legge 194 rovescia il diritto alla vita e parte dal diritto all'aborto, prevedendo poi eventuali correttivi. Ma non solo. Quando qualche Comune, Provincia e Regione ha disposto qualche modesto intervento per scoraggiare gli aborti, anzi meglio, per incoraggiare le madri e i padri a tenersi la creatura, è partita l'accusa di inciviltà reazionaria contro la legge 194. Siamo alla "Fattoria degli animali" di Orwell, siamo al rovescio del buon senso: si chiama civile chi sopprime una vita e si definisce incivile chi tenta di salvarla. Chi continua a dire che grazie alla legge 194 sono diminuiti gli aborti racconta una storia falsa: perché il calo degli aborti va di pari passo con il calo delle nascite; se aumenta la contraccezione, naturale e tecnica, è evidente che diminuiscono le gravidanze, sia quelle portate a termine sia quelle abortite. E la piaga dell'aborto clandestino non si può quantificare perché, come dice la parola stessa,
dell'opposizione.
Si potrebbe dire che non lo sia per realismo o per prudenza, ma lasciate che io esprima un duplice dubbio: temo che la politica sia in ritardo sulla realtà e su una ferita aperta nel tessuto civile, morale e culturale dell'Occidente. La politica non riesce a esprimere e rappresentare il vero bipolarismo nella nostra società, quello tra spirito comunitario e spirito liberal, ovvero tra radicati e radicali, che si esprime attraverso quella che fu definita biopolitica.
Coalizioni caos
La politica arranca, non capisce, non dà contenuti adeguati e veri al bipolarismo, è tanto isterica nella contrapposizione livorosa quanto sterile sui contenuti. E a questo si aggiunge una ragione secondaria ma rilevante: quando le coalizioni hanno al loro interno un arco che va dalla Binettì a Lu-xuria, non possono prendere posizione su questi temi senza spaccarsi. Perciò evitano. E lo stesso, in misura minore, vale per la coalizione opposta, che va da Càpezzone a Mantovano. Ma questa è una prova in più della povertà della politica a rappresentare la realtà vera, i suoi drammi e i suoi nodi cruciali.
Insomma, è vero, non ci sono le condizioni per ridiscute-re la legge 194, ma questo non è un segno di maturità bensì di inadeguatezza della politica italiana. E a coloro i quali dicono che chi vuol discutere la legge 194 vuol portare indietto la donna, l'Italia, la società, rispondo: al contrario, è un modo per andare avanti e non restare fermi a un trentennio fa, è un modo per far nascere il futuro in culla. Le creature che la legge 194 sopprime sono già a più di metà gravidanza, respirano, hanno onde cerebrali nel loro cervello, tutti gli organi sono formati, hanno genitali e impronte digitali, hanno un corpo di oltre trenta centimetri, hanno mani e un cuore pulsante, hanno la lingua e forse già dicono qualcosa nel loro meta-linguaggio, ridono e piangono, hanno gli occhi, forse ci vedono dall'oblò materno e forse già ci giudicano. E poi, dar voce agli assenti è la suprema forma di amore.
«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»