Verdini il guascone e la galassia dei suoi nebulosi affari

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Verdini il guascone e la galassia dei suoi nebulosi affari

Messaggiodi patrix78 il 18 ago 2010, 22:47

di Fulvio Lo Cicero

Dopo il commissariamento della sua banca e le sue dimissioni da Presidente, i magistrati vagliano l’accusa di riciclaggio. Ma lui, come Cosentino in Campania, non si dimette da triumviro del partito. Perché è proprio da lì che nascono le sue fortune

ROMA – Il personaggio è così, un po’ guascone e sparaballe. Denis Verdini, classe 1951, nato nello stesso paesino toscano di Sandro Bondi, Fivizzano (Massa Carrara), colpito sulla via d’Arcore, lo udimmo con le nostre orecchie, alla manifestazione “flop” (non più di 70 mila persone, la maggior parte “invitate” con pulman e pranzo pagati) di San Giovanni del 20 marzo scorso, dire minaccioso: «Gli aquilani vengano qui sotto il palco a ringraziare Berlusconi!». Per uno come lui e per l’intera corte che ruota attorno al ducetto brianzolo, è normale che si debba sempre e comunque ringraziare il “sire”, che ha regalato (con i soldi pubblici) i nuovi contenitori domestici ai terremotati. Non era un suo preciso dovere, no, ma una sua gentile grazia. Poi, subito dopo, la sparò grossa: «Siamo un milione!» urlò al microfono di fronte ai 70 mila e tutti si guardarono intorno increduli, un po’ ridendo, un po’ fingendo di credere a quella enorme panzana.

Arrivano i guai

Fino a qualche mese fa, Denis era sicuramente il personaggio più sottotraccia della triade che ancora regge il “partito di plastica” del Cavaliere: un partito finto, perfino nel nome (Popolo della libertà, che impedisce qualsiasi dissenso interno e che non ha mai nemmeno celebrato un congresso, con mozioni e votazioni da parte di liberi delegati), coordinato, oltre che da lui, dal conterraneo Bondi e dal mefistofelico Ignazio La Russa. Mentre questi apparivano sempre in televisione e garrivano dichiarazioni a raffica, lui agiva nascosto, nell’ombra. Le inchieste aperte dalla Procura di Roma su di lui – che gli sono costate già le dimissioni da presidente del Credito cooperativo fiorentino – rendono bene l’idea di un uomo al centro di notevoli interessi economici e che, almeno secondo le accuse ipotizzate dai magistrati, utilizzava la “sua” banca per favorire gli amici degli amici. Magistrati e ispettori della Banca d’Italia hanno agito all’unisono: per gli uomini della nostra Banca centrale, il Credito cooperativo di Verdini ha operato talmente fuori da ogni regola da dover essere commissariato. E sulla richiesta in tal senso spicca la firma del ministro competente, Giulio Tremonti. Al di là di ogni giustificazione del triumviro toscano, non sembra un bel risultato, anche perché sia la legge bancaria del 1993, sia i rigidi regolamenti della Banca d’Italia ordinano ad ogni istituto di credito una “sana e prudente gestione”, cioè il contrario di chi concentra gli impieghi su poche persone fisiche o giuridiche, aumentando in questo modo il rischio di incagli o sofferenze.

Un dato su tutti: secondo gli ispettori romani, oltre il 60% degli impieghi (cioè dei crediti concessi all’esterno) era accordato ad un solo cliente, Riccardo Fusi, titolare di società che fanno affari con gli immobili e di alcune delle quali lo stesso Verdini è socio. Un palese conflitto di interessi (praticamente il banchiere si autofinanziava, oltre ogni limite consentito dalle norme bancarie di vigilanza).

La girandola dei soldi

D’altronde, le parole degli ispettori della Banca d’Italia non potrebbero essere più affilate: il sistema adottato dal Credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini «non è improntato a minimali criteri di prudenza e contraddistinto da diffuse irregolarità». Basti pensare alla storia dei preliminari di acquisto. Questi ultimi sono contratti nei quali venditore e acquirente di un immobile si mettono d’accordo nello stipulare un successivo contratto di vendita. I diritti di proprietà rimangono in capo al venditore che si obbliga, insieme all’acquirente, solo alla successiva stipulazione. Ora spunta fuori che questi contratti erano utilizzati dall’amico di Verdini Riccardo Fusi per avere finanziamenti dalla banca. «Quelli delle caparre non sono mica soldi veri, perché entrano e riescono, non so se mi spiego. L’importante è fare il giro» dice al telefono Fusi al suo socio Roberto Bartolomei. Soldi che poi la banca di Verdini accordava senza grandi problemi, anche se i contratti preliminari non portavano ad alcuna vendita. Ma per capire la nebulosità di queste operazioni e come i suoi protagonisti considerassero le norme che regolano gli affari economici è sufficiente leggersi la stizzita reazione dello stesso Fusi alle contestazioni delle banche proprio sui contratti preliminari intestati a società di comodo. Vogliono studiarne i bilanci e Fusi allora si arrabbia: «Fallo tornare il bilancio, non è mica un problema farlo tornare…Non la fare tanto lunga. Prendi il bilancio e poi lo metti a posto come vogliono loro. Qual è il problema? Sembra che ti chiedo un monte».

Il partito degli affari e le accuse di riciclaggio

Già nell’interrogatorio di fine luglio, Verdini non ha saputo dare spiegazioni su tutto ai magistrati. Ad esempio, gli oramai famosi 800 mila euro versati da Carboni alla società che edita “Il Giornale di Toscana”, di proprietà del coordinatore del Pdl, che i magistrati sospettano possa essere parte di una tangente proveniente dal giro dell’eolico in Sardegna, oppure uno dei capitoli di un’operazione di riciclaggio, reato per il quale, però, l’esponente toscano della destra non ha ricevuto ancora alcun avviso di garanzia.

Il potente uomo politico toscano si difende in un’intervista a “Il Foglio” di Giuliano Ferrara (di cui lo stesso Verdini è socio): «Le cartelline con i rilievi della Vigilanza rappresentano solo l'inizio di un procedimento amministrativo al quale risponderemo puntualmente e adeguatamente», ma «anche a voler leggere con malevolenza queste prime osservazioni di Bankitalia, esse comunque smontano tanti titoli velenosi sparati in questi giorni dalla stampa antiberlusconiana». Ed è così che la sua difesa procede. Perché lui, al pari di altri esponenti del partito berlusconiano, può dimettersi pure dagli incarichi direttivi ma non da quelli politici. Infatti, Verdini non ha pensato nemmeno per un attimo di lasciare la segreteria del Pdl, così come Cosentino quella del partito in Campania. Perché è lì che sta il vero potere negli affari. Puoi essere pure ministro, o vice-ministro, o Presidente di una banca, ha poca importanza nel contesto generale del dominio economico. Giuliano Ferrara ovviamente lo difende, parlando di un assalto politico senza sostanza giuridica. Ma allora ci si potrebbe domandare perché non lascia la politica per dedicarsi soltanto all’imprenditoria, in modo da far cessare quelle che vengono interpretate come “persecuzioni antiberlusconiane”. In fondo, la soluzione è a portata di mano.

http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=11741%3Averdini-il-guascone-e-la-galassia-dei-suoi-nebulosi-affari&catid=37%3Apolitica-interna&Itemid=154
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