Perché dietro l'operazione City Bank ci sono le bugie...

Perché dietro l'operazione City Bank ci sono le bugie e l'insicurezza di Obama
La n-economy, cioè l’economia delle imprese nazionalizzate, ha fatto il suo ingresso nella politica economica di Barak Obama con l’acquisizione da parte del Tesoro della quota del 36 per cento delle azioni di City Bank.
L’operazione è stata attuata con il consenso del vertice della banca, che anzi la ha invocata mediante la conversione in azioni ordinarie di una parte delle azioni preferenziali senza diritto di voto che il governo di Washington già possedeva. L’amministrazione Obama, in questo caso ha operato sotto tono, in modo esitante senza dare chiare indicazioni su che cosa intende fare ora, sistematicamente, con il resto delle banche e con riguardo ai titoli tossici posseduti dal sistema. Ed invece era stata esplicita e anzi aggressiva il giorno prima nel lancio del suo programma decennale di bilancio che comporta un deficit di 1750 miliardi pari al 12,3 del Pil per il 209 e di 1175 miliardi, pari allo 8,2% nel 2010 e contiene 1000 miliardi di dollari di nuove imposte. Un programma decennale di big government benesserista e giustizialista tendenzialmente in deficit. Evidentemente il partito democratico americano ed Obama che guida la nuova linea, non hanno paura di presentare un volto keynesiano di grande spesa sociale in deficit e di redistribuzione fiscale mentre sono esitanti nell’adottare le politiche dello “stato di intervento”, di cui non sembra conoscano gli strumenti e i problemi.
Stanno cadendo, ciò nonostante, alcuni tabù, come quello che l’impresa pubblica sia una perversione per un partito di sinistra che si definisce “liberal”, cioè a favore della libertà sia pure non nel senso del liberalesimo europeo. Resta però da vedere se deroga maggiormente alle regole liberali la acquisizione da parte dello stato del controllo di una grande banca, allo scopo di tutelare il credito e il risparmio, effettuata senza regali agli azionisti o la elargizione a tutti del diritto alla sanità gratuita e alla scuola gratuita sin dalla prima infanzia, mediante il bilancio pubblico in disavanzo e la tassazione addizionale delle imprese e delle rendite finanziarie in un periodo in cui bisognerebbe favorire il risparmio investito.
Il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha sostenuto che l’acquisizione del 36% di City Bank, con una operazione di conversione di azioni preferenziali in azioni ordinarie a prezzo inferiore a quello cui una volta esse avevano diritto, non è una nazionalizzazione nel senso proprio di questo termine. E’ vero che non lo è in quanto non è il governo che prende City con un atto di forza, cioè un esproprio con indennizzo, ma City che chiede e ottiene questo intervento dello stato nel suo azionariato ordinario, per rafforzarla ed evitarne un possibile fallimento dovuto al fatto che essa sta registrando perdite a causa dei titoli tossici in portafoglio e al fatto che, dato ciò, non è in grado di raccogliere in borsa altro capitale sociale, per fronteggiare tali perdite. In sé, questa operazione, si può definire per le sue modalità, un intervento pubblico conforme al mercato. E’ il seguito che non lo è. E in effetti, con una quota di questo genere lo stato controlla la società che però rimane quotata in borsa ed ha una maggioranza azionaria privata. Ma in una società con azionariato diffuso, una quota del 36 per cento è più che sufficiente per comandare nella gestione e nelle scelte strategiche. D’altra parte il Fondo sovrano di Singapore GIC (Government Investment Corporation) avrà un altro 11,1 per cento di City, sicché nel complesso il 47,1 per cento di City sarà di due azionisti pubblici.
D’altra parte il governo USA ha trasformato le azioni preferenziali in azioni ordinarie a un valore superiore a quello che queste hanno correntemente sul mercato. E quindi non ha fatto un regalo agli azionisti, in quanto ha ottenuto per i titoli convertendi suoi e degli altri titolari di azioni privilegiate, un premio, rispetto al valore di mercato. Ma ciò, a differenza che nel caso delle nazionalizzazioni coercitive, è stato chiesto dalla compagnia medesima. Serve per difendere il risparmio dei suoi depositanti ed obbligazionisti e i suoi crediti all’economia. In questo modo il capitale azionario ordinario di City è passato dallo 1,5 al 4,3 del suo attivo mentre è diminuito l’importo che City deve riservare alla remunerazione delle azioni privilegiate. Vi è, così, una maggior disponibilità di utili lordi per pagare gli interessi passivi e una maggiore base per erogare credito. Ciò favorisce in particolare i titolari di obbligazioni City che in tal modo si sentono maggiormente garantiti dei loro redditi e dei loro debiti. Del resto, una banca in cui lo stato ha il 36 per cento verosimilmente non sarà lasciata fallire, il Tesoro provvederà comunque a tapparne i buchi.
Per dare la sensazione che questa operazione di salvataggio bancario generoso è “sociale”, si è fatto sapere che fra i titolari di obbligazioni ci sono fondazioni ospedaliere e universitarie, vacche sacre. Ma così i democratici americani ed Obama sprofondano sempre più nella retorica assistenzialista dello stato del benessere. Perché non hanno il coraggio di sostenere che l’intervento serve per la tutela del risparmio e per il rilancio del credito all’economia produttiva, che sono i veri compiti che uno stato ha, se vuole perseguire il benessere nazionale in modo non effimero? Il governo di Obama, per far sapere che questa banca non è una impresa nazionalizzata, non cambia l’amministratore delegato: Vikram Pandit, che la gestisce da un anno e mezzo. Ma non sarebbe meglio che l’amministrazione Obama spiegasse che cosa intende fare dal punto di vista strategico per il carrozzone bancario che opera in 120 stati, nei più diversi rami di attività ed ha un attivo di 1900 miliardi di dollari al lordo delle perdite non ancora registrate?
Fra i principi dello stato che adotta interventi conformi al mercato c’è quello della trasparenza e chiarezza della sua condotta, che dovrebbe esprimersi mediante un programma certo. Occorrono cioè delle regole e un piano. Invece non lo si fa. Non vi sono nuove regole del gioco: perché il governo sostiene che questa banca rimarrà di natura privata, pur essendo pubblica. Ci sarà qualche nuovo consigliere d’amministrazione, ma la gestione della banca e le sue strategie rimarranno nelle mani di Pandit e non sono note. Il tutto avverrà all’insegna della discrezionalità amministrativa. Il modello di banca nazionalizzata che così si attua è un modello neo mercantilista, cioè un modello dirigista discrezionale col governo che sceglie di volta in volta gli interessi privati che sceglie di tutelare.
L’operazione di conversione di azioni senza diritto di voto avrebbe dovuto rafforzare le quotazioni di City, dato che ora bel difficilmente essa sarò costretta a dichiararsi fallita. Invece, le quotazioni di City sono scese e così quelle di altre banche, i cui pacchetti azionari potrebbero essere rilevati dallo stato. Sembra quasi incomprensibile che una banca che chiede allo stato di entrare nel suo capitale azionario, per rafforzarlo, veda scendere le quotazioni delle sue azioni, dopo che ciò è avvenuto. Ma la ragione è che l’operazione in questione non è stata accompagnata dai principi dell’intervento conforme per questo e per gli altri analoghi casi che si potessero verificare e ciò lascia gli operatori economici nell’incertezza su cosa intenda fare nei riguardi dell’economia reale di mercato e del risparmio questo big government neo keynesiano, benesserista e giustizialista.
La n-economy, cioè l’economia delle imprese nazionalizzate, ha fatto il suo ingresso nella politica economica di Barak Obama con l’acquisizione da parte del Tesoro della quota del 36 per cento delle azioni di City Bank.
L’operazione è stata attuata con il consenso del vertice della banca, che anzi la ha invocata mediante la conversione in azioni ordinarie di una parte delle azioni preferenziali senza diritto di voto che il governo di Washington già possedeva. L’amministrazione Obama, in questo caso ha operato sotto tono, in modo esitante senza dare chiare indicazioni su che cosa intende fare ora, sistematicamente, con il resto delle banche e con riguardo ai titoli tossici posseduti dal sistema. Ed invece era stata esplicita e anzi aggressiva il giorno prima nel lancio del suo programma decennale di bilancio che comporta un deficit di 1750 miliardi pari al 12,3 del Pil per il 209 e di 1175 miliardi, pari allo 8,2% nel 2010 e contiene 1000 miliardi di dollari di nuove imposte. Un programma decennale di big government benesserista e giustizialista tendenzialmente in deficit. Evidentemente il partito democratico americano ed Obama che guida la nuova linea, non hanno paura di presentare un volto keynesiano di grande spesa sociale in deficit e di redistribuzione fiscale mentre sono esitanti nell’adottare le politiche dello “stato di intervento”, di cui non sembra conoscano gli strumenti e i problemi.
Stanno cadendo, ciò nonostante, alcuni tabù, come quello che l’impresa pubblica sia una perversione per un partito di sinistra che si definisce “liberal”, cioè a favore della libertà sia pure non nel senso del liberalesimo europeo. Resta però da vedere se deroga maggiormente alle regole liberali la acquisizione da parte dello stato del controllo di una grande banca, allo scopo di tutelare il credito e il risparmio, effettuata senza regali agli azionisti o la elargizione a tutti del diritto alla sanità gratuita e alla scuola gratuita sin dalla prima infanzia, mediante il bilancio pubblico in disavanzo e la tassazione addizionale delle imprese e delle rendite finanziarie in un periodo in cui bisognerebbe favorire il risparmio investito.
Il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha sostenuto che l’acquisizione del 36% di City Bank, con una operazione di conversione di azioni preferenziali in azioni ordinarie a prezzo inferiore a quello cui una volta esse avevano diritto, non è una nazionalizzazione nel senso proprio di questo termine. E’ vero che non lo è in quanto non è il governo che prende City con un atto di forza, cioè un esproprio con indennizzo, ma City che chiede e ottiene questo intervento dello stato nel suo azionariato ordinario, per rafforzarla ed evitarne un possibile fallimento dovuto al fatto che essa sta registrando perdite a causa dei titoli tossici in portafoglio e al fatto che, dato ciò, non è in grado di raccogliere in borsa altro capitale sociale, per fronteggiare tali perdite. In sé, questa operazione, si può definire per le sue modalità, un intervento pubblico conforme al mercato. E’ il seguito che non lo è. E in effetti, con una quota di questo genere lo stato controlla la società che però rimane quotata in borsa ed ha una maggioranza azionaria privata. Ma in una società con azionariato diffuso, una quota del 36 per cento è più che sufficiente per comandare nella gestione e nelle scelte strategiche. D’altra parte il Fondo sovrano di Singapore GIC (Government Investment Corporation) avrà un altro 11,1 per cento di City, sicché nel complesso il 47,1 per cento di City sarà di due azionisti pubblici.
D’altra parte il governo USA ha trasformato le azioni preferenziali in azioni ordinarie a un valore superiore a quello che queste hanno correntemente sul mercato. E quindi non ha fatto un regalo agli azionisti, in quanto ha ottenuto per i titoli convertendi suoi e degli altri titolari di azioni privilegiate, un premio, rispetto al valore di mercato. Ma ciò, a differenza che nel caso delle nazionalizzazioni coercitive, è stato chiesto dalla compagnia medesima. Serve per difendere il risparmio dei suoi depositanti ed obbligazionisti e i suoi crediti all’economia. In questo modo il capitale azionario ordinario di City è passato dallo 1,5 al 4,3 del suo attivo mentre è diminuito l’importo che City deve riservare alla remunerazione delle azioni privilegiate. Vi è, così, una maggior disponibilità di utili lordi per pagare gli interessi passivi e una maggiore base per erogare credito. Ciò favorisce in particolare i titolari di obbligazioni City che in tal modo si sentono maggiormente garantiti dei loro redditi e dei loro debiti. Del resto, una banca in cui lo stato ha il 36 per cento verosimilmente non sarà lasciata fallire, il Tesoro provvederà comunque a tapparne i buchi.
Per dare la sensazione che questa operazione di salvataggio bancario generoso è “sociale”, si è fatto sapere che fra i titolari di obbligazioni ci sono fondazioni ospedaliere e universitarie, vacche sacre. Ma così i democratici americani ed Obama sprofondano sempre più nella retorica assistenzialista dello stato del benessere. Perché non hanno il coraggio di sostenere che l’intervento serve per la tutela del risparmio e per il rilancio del credito all’economia produttiva, che sono i veri compiti che uno stato ha, se vuole perseguire il benessere nazionale in modo non effimero? Il governo di Obama, per far sapere che questa banca non è una impresa nazionalizzata, non cambia l’amministratore delegato: Vikram Pandit, che la gestisce da un anno e mezzo. Ma non sarebbe meglio che l’amministrazione Obama spiegasse che cosa intende fare dal punto di vista strategico per il carrozzone bancario che opera in 120 stati, nei più diversi rami di attività ed ha un attivo di 1900 miliardi di dollari al lordo delle perdite non ancora registrate?
Fra i principi dello stato che adotta interventi conformi al mercato c’è quello della trasparenza e chiarezza della sua condotta, che dovrebbe esprimersi mediante un programma certo. Occorrono cioè delle regole e un piano. Invece non lo si fa. Non vi sono nuove regole del gioco: perché il governo sostiene che questa banca rimarrà di natura privata, pur essendo pubblica. Ci sarà qualche nuovo consigliere d’amministrazione, ma la gestione della banca e le sue strategie rimarranno nelle mani di Pandit e non sono note. Il tutto avverrà all’insegna della discrezionalità amministrativa. Il modello di banca nazionalizzata che così si attua è un modello neo mercantilista, cioè un modello dirigista discrezionale col governo che sceglie di volta in volta gli interessi privati che sceglie di tutelare.
L’operazione di conversione di azioni senza diritto di voto avrebbe dovuto rafforzare le quotazioni di City, dato che ora bel difficilmente essa sarò costretta a dichiararsi fallita. Invece, le quotazioni di City sono scese e così quelle di altre banche, i cui pacchetti azionari potrebbero essere rilevati dallo stato. Sembra quasi incomprensibile che una banca che chiede allo stato di entrare nel suo capitale azionario, per rafforzarlo, veda scendere le quotazioni delle sue azioni, dopo che ciò è avvenuto. Ma la ragione è che l’operazione in questione non è stata accompagnata dai principi dell’intervento conforme per questo e per gli altri analoghi casi che si potessero verificare e ciò lascia gli operatori economici nell’incertezza su cosa intenda fare nei riguardi dell’economia reale di mercato e del risparmio questo big government neo keynesiano, benesserista e giustizialista.