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Internauti di tutto il mondo unitevi!

Messaggiodi Aragorn il 12 mag 2008, 11:49

di Michela Nacci


Era almeno dai tempi di Auguste Comte che non si leggeva una simile esaltazione del progresso, che non si incontrava una fede paragonabile in un avvenire trionfante dell’umanità, dalla realizzazione prossima e dal certissimo avvento, che non si preconizzava tale progresso e tale avvenire determinato da un preciso elemento. Mentre la causa del progresso costante dell’umanità in Comte era la scienza, per Pierre Lévy si tratta della comunicazione elettronica. Chi l’avrebbe detto? La nostra epoca è stata definita postmoderna, segnata dalla fine dei grandi racconti, dalla detronizzazione dell’uomo dal posto centrale che occupava un tempo e dalla caduta delle speranze che avevano sorretto altre generazioni: l’avanzamento della conoscenza, il progresso, il disporsi delle vicende storiche in una filosofia comprensibile dall’essere umano e di carattere universale. E invece, proprio nella nostra epoca, ecco la proposta di una nuova filosofia della storia dalle seguenti inattuali caratteristiche: è progressiva, è determinista, è antropocentrica. Gli effetti politici dell’esistenza di Internet sono pesanti, dal momento che su di esso si basano sia la visione dell’avvento imminente di una democrazia di tipo partecipativo sia una previsione per il futuro: la scomparsa dalla faccia della terra di ogni regime autoritario, oppressivo, liberticida.

Artefice di questa filosofia della storia è Pierre Lévy, famoso anche in Italia per aver dato luogo all’utopia, che ora ripropone, dell’intelligenza collettiva. Ricordiamo di che cosa si trattava: in un libro del 1994 (tradotto in italiano nel 1996) di grande successo soprattutto tra gli appassionati del web, Lévy aveva previsto la formazione attraverso i nuovi strumenti informatici, le reti comunicative a cui essi hanno dato luogo, e la rete delle reti che li contiene tutti, di un nuovo soggetto della conoscenza e della comunicazione: una intelligenza collettiva formata da tutte le singole menti coinvolte e dagli scambi fra di esse. Questo soggetto sarebbe stato protagonista di una vera e propria rivoluzione: poiché il proletariato odierno è formato dagli utenti informatici, sono loro che hanno in mano le leve del mondo. Tutti insieme, essi formano una forza che è impossibile battere.

In questo nuovo testo Lévy fa un altro passo sulla via del disegno del mondo nelle mani dell’intelligenza collettiva. Lévy nutre una grande, grandissima fiducia nelle nuove caratteristiche della comunicazione e dell’informazione per via elettronica: ritiene che la creazione del cyberspazio e di Internet rappresenti un punto di non ritorno nel senso del rapporto privo di mediazioni fra gli utenti, della scomparsa delle gerarchie dal mondo dell’informazione, di una comunicazione accresciuta fra gli esseri umani, di una partecipazione effettiva e potenziale alla vita comune. Invoca Marshall McLuhan nella sottolineatura del ruolo sempre decisivo che i media hanno avuto nella storia, ma in verità lo studioso canadese non avrebbe condiviso affatto questa concezione determinista della tecnologia e degli strumenti di comunicazione. Per Lévy Internet determina l’uso che è possibile fare di esso: usando la comunicazione elettronica, automaticamente si hanno le conseguenze descritte. Trascura completamente il fatto che anche Internet è luogo di interessi, multinazionali, poteri occulti e palesi, scontri e conflitti; anche il cyberspazio potrebbe essere, prima o poi, vincolato a spese obbligatorie (non lievi come le attuali) che si tradurrebbero in un accesso limitato. Non è detto affatto che quella che viviamo sia la fase definitiva del web. E’ vero che Internet appare nei regimi oppressivi uno strumento di libertà: ma da qui a farne il motore della libertà delle varie regioni del mondo il passo è lungo.

Nella visione di Lévy la comunicazione elettronica produce sempre maggiore democrazia, rende lo Stato e l’esistenza globali, causa una sempre maggiore partecipazione del cittadino e trasparenza delle istituzioni, fa crescere costantemente la conoscenza e la consapevolezza, coordina sviluppo locale e sviluppo globale, armonizza uguaglianza e differenze, fa sparire la guerra come mezzo di espressione dei diversi punti di vista, e addirittura mette d’accordo l’utopia marxista con il mercato. C’è un solo elemento che mette in moto le trasformazioni conducendole a un esito perfetto e definitivo: la comunicazione elettronica. Tutto il resto è secondario, insignificante rispetto alla potenza dei meccanismi messi in moto e avanzanti gloriosamente. Secondario anche nella considerazione dell’autore, che liquida problemi giganteschi in poche righe.

Il miscuglio offerto da Lévy è davvero sconcertante: le sue previsioni hanno un aspetto utopista e un aspetto del tutto realista, e allo stesso tempo hanno un aspetto attualissimo e un aspetto davvero antiquato. Per un verso, infatti, l’immagine di una trasparenza sempre maggiore che fornisce ai cittadini conoscenze e quindi margini di manovra sempre più grandi è davvero ingenua. Per altro verso, le dimensioni del fenomeno Internet sono ormai talmente ragguardevoli da richiedere una qualche riflessione su di essi. E ancora, per un verso Lévy immagina un mondo non ancora reale in cui tutti sono connessi, per l’altro elabora una teoria a tutto tondo delle vette alle quali Internet ci condurrà che sfida la mentalità dei positivisti più ottimisti.

E’ curioso che, quando parla di problemi o di questioni globali, Lévy ne scorga solo il lato positivo: il lato che unisce i cittadini fra loro, che aumenta la loro presenza, che fa sentire senza tramiti professionali o istituzionali la loro voce e permette loro di accedere direttamente alle informazioni. Il culmine viene raggiunto nel disegno di uno Stato mondiale al quale aderiscono volontariamente tutti gli Stati preesistenti: solutore di tutte le emergenze planetarie, grande contenitore buono, produttore e esito al tempo stesso di pace e armonia. Non emergono mai, se non en passant, gli aspetti negativi della realtà globale: problemi che vanno sotto il nome di inquinamento, sovrapopolazione, desertificazione. In questi problemi non abbiamo affatto l’impressione che il ruolo giocato dai vari Stati, macrounità amministrativo-politiche, grandi regioni del mondo, si sia modellato su quello di una sempre maggiore consapevolezza dei problemi, di una collaborazione fattiva, della risoluzione progressiva di quei problemi. Sui problemi globali, come su tutti gli altri, si esprimono scontri oltre che incontri, si esprime la difesa di interessi geopolitici, strategici, la fedeltà a ideologie, la continuità con tradizioni non identiche fra loro. Occorre non dimenticare che le politiche restano parziali anche nel mondo globale. E non è vero che nel mondo sempre più globalizzato economia e politica perdono la loro differenza: caratteristica della politica resta – anche oggi, speriamo anche domani – quella di non adeguarsi passivamente a uno stato economico dalle dimensioni mondiali.

Lévy scrive: “Lo Stato non potrà diventare un organismo di respiro planetario o universale finché ogni rischio di dittatura, di genocidio culturale pianificato e di totalitarismo non saranno classificati nella memoria umana come delle tappe superate dell’evoluzione storica. Lo stesso discorso vale per la tortura, la schiavitù, la censura o le disuguaglianze sancite dalla legge, sia che esse si riferiscano al sesso, alla ‘razza’, alla casta d’appartenenza, alla nazione o alla tradizione spirituale.” Ma allora, se è necessario aspettare che questi problemi siano risolti prima di pensare al futuro armonico globale, pare chiaro che la realtà unitaria e trasparente della coscienza globale non si realizzerà tanto presto.

Grandiosa utopia quella di Lévy, grandiosamente staccata dalla realtà! Ragiona in base a un’idea di comunità virtuali che si allargano sempre più (sul modello delle chat o dei forum di discussione) e che realizzano una sempre maggiore partecipazione volontaria e trasparenza, che mettono in piedi un nuovo soggetto dalla testa smisuratamente ampliata e dal corpo riunito: l’intelligenza collettiva, appunto. Quando la realtà fa capolino, ci si chiede come il sogno possa restare in piedi: Lévy teorizza una sempre maggiore connessione in rete fra tutte le parti del mondo, una sempre più ampia standardizzazione dei mezzi che li renda compatibili fra loro. Sostiene ad esempio: “Tra qualche anno, tutti i computer avranno probabilmente lo stesso sistema operativo.” Sarà. Per ora, un particolare così banale come le prese elettriche è diverso fra un paese e l’altro, fra Europa e America. In genere la realtà si sviluppa per linee che non vanno quasi mai in una sola, unica, direzione: e non è neppure detto che globalismo e localismo (ad esempio) si armonizzino necessariamente fra loro. Possono anche scontrarsi, svilupparsi in modo contrastante. Nell’utopia di Lévy tutto invece (ma proprio tutto) finisce per armonizzarsi con tutto il resto. Quando accade questo, l’immagine di un mondo unico, coerente, trasparente e partecipato, nel quale “La specie umana intera parteciperà alla gestione dell’evoluzione grazie al cyberspazio che sarà diventato una sorta di sistema nervoso della biosfera.”, assomiglia più a un incubo che a un sogno: dove potremmo mai rifugiarci in un sistema simile? Quale angolo non ancora connesso ci accoglierebbe?

Smaterializzazione, deterritorializzazione: queste le parole magiche che in questi anni sono servite a catalogare e comprendere le trasformazioni in corso in un mondo che passava da moderno a postmoderno. Lévy si aggiunge al novero di questi interpreti. A suo parere quel che importa è il link, il contatto, la connessione, la comunione profondissima e sempre più interattiva delle intelligenze singole fino a formare la globale intelligenza collettiva: bisognerebbe notare che la smaterializzazione è solo parziale, se è vero che questo mondo reticolare si realizza tuttavia attraverso oggetti tecnici ben reali, infrastrutture che qualcuno in carne e ossa ha posto in essere. Così, il territorio, la distanza, lo spazio, sarebbero stati superati: “Le frontiere geografiche territoriali, le distanze fisiche che separano le culture, non avranno più rilevanza in uno spazio ipertestuale densamente connesso.” La favola della deterritorializzazione bisognerebbe raccontarla ai pendolari.

Non si capisce, infine, in che modo le diversità potrebbero mantenersi in questo mondo totalmente coeso mentalmente in modo elettronico. Lévy non lo spiega ma lo predice con sicurezza: così come tutto si concilia nella sua utopia, anche identità e differenza, uniformità e individualizzazione si incontrano senza conflitto.

Di fonte ad affermazioni come queste si possono avere due reazioni: opporre al sogno la realtà, e in questo caso il sogno (bello o brutto che sia) resta tale. Oppure si può crederci: e allora un brivido passa per la schiena.

P. Lévy, Cyberdemocrazia, Milano, Mimesis, 2008, a cura di G. Bianco


«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,

le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»

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