Anarchici per caso o solo per passione

di Michela Nacci
Chi volesse avere a portata di mano i fondamentali della dottrina anarchica potrebbe andarsi a leggere il libretto di Colin Ward, L’anarchia. Un approccio essenziale (Milano, Elèuthera, 2008). La parola chiave per descrivere questa introduzione è proprio “essenziale”. In poco più di un centinaio di pagine, infatti, l’autore – non uno storico del pensiero politico, ma piuttosto un colto appassionato dell’idea anarchica – offre in un panorama sintetico i principi di questa corrente di pensiero, l’elenco dei maggiori personaggi che hanno contribuito a formarne il corpus teorico, i momenti della storia contemporanea nei quali quei personaggi (o altre figure che comunque si ispiravano alle loro idee) hanno svolto un ruolo di primo piano.
Siamo certi, però, che esista un nucleo essenziale di idee che definisce in modo esatto ed esaustivo l’anarchismo? Mi spiego: leggendo Ward si ha l’impressione che questa corrente politica (o per meglio dire antipolitica, anche se non nello stesso senso in cui si usa il termine oggi) sia qualcosa di ben caratterizzato, con tratti che ne delimitano la fisionomia, con posizioni precise e univoche: l’insofferenza nei confronti dell’autorità, l’opposizione allo Stato e alla burocrazia, l’anticentralismo, il federalismo, il pacifismo, l’individualismo, l’auto-organizzazione su scala locale dei servizi essenziali, il mutuo soccorso, il cooperativismo, la critica di ogni nazionalismo, la considerazione della punizione per mezzo della prigione come un rimedio peggiore del male, la preoccupazione per le differenze sociali. L’anarchismo considera l’inerzia delle istituzioni non un accidente deprecabile (secondo un atteggiamento realista), ma un male che deve e può essere evitato L’organizzazione anarchica è volontaria, funzionale, temporanea, di piccole dimensioni. Logico che un settore al quale l’anarchia si è applicata sia stato la pedagogia.
In realtà, guardando al pensiero politico contemporaneo, si ha l’impressione che – accanto ad autori e movimenti che hanno cercato consapevolmente di tenersi fedeli alle origini e al nucleo autenticamente anarchico del movimento – le idee dell’anarchismo si siano mischiate, legate, confuse con altre, fino a produrre i risultati più diversi. Ward dà una definizione ad ampio spettro degli anarchici. Ma, guardando agli autori che ricorda, come mettere nello stesso contenitore Friedrich von Hayek e Pierre-Joseph Prodhon? Il primo crede nella bontà della proprietà privata, il secondo la contesta alla radice. Come apparentare Robert Nozick e Henry David Thoreau? Il primo offre una base per una società avanzata e competitiva nella quale lo Stato sia ridotto al minimo, ed è difficile immaginarlo in un dialogo concorde con l’amante dei boschi e il critico della civiltà industriale. Principi quali l’individualismo, il federalismo, la critica allo Stato e alla centralizzazione, che certo sono presenti nell’anarchia e la caratterizzano fortemente, non la caratterizzano tuttavia in modo esclusivo: anche John Stuart Mill era individualista, eppure credeva fermamente nella necessità dello Stato e dell’autorità che esso incarna. Federalista e anticentralista si definisce oggi la Lega Nord, ma è difficile ascrivere questo partito all’eredità anarchica. Vale anche il contrario: così come i temi centrali dell’anarchismo non assumono lo stesso significato nei vari personaggi che li sostengono, allo stesso modo alcune delle idee tipiche dell’anarchia si ritrovano in altre correnti: la preoccupazione per i ceti più disagiati è condivisa da conservatori e reazionari, l’analisi impietosa della burocrazia sempre crescente che stringe l’individuo in una morsa è stata portata da Weber ad altezze inarrivabili, la diffidenza per lo Stato preoccupa – fra Ottocento e Novecento - anche tutti quei socialisti che si definiscono liberali, eppure gli stessi socialisti combattono aspramente l’anarchia sul piano delle idee e nella realtà.
Se la democrazia richiede e presuppone implicitamente un uomo assai virtuoso, l’anarchia ne presuppone uno addirittura angelico: buono, generoso, altruista, spontaneamente dotato della capacità di autolimitarsi. Tra uomini siffatti vede una armonia naturale che le istituzioni positive non rafforzano affatto ma vengono solo a turbare. Si basa su una convinzione antropologica: l’uomo oppresso resta sempre un minore e dà il peggio di sé, l’uomo lasciato libero mostra invece che è capace di governarsi e lascia espandere le qualità delle quali è dotato.
Tante e tanto diverse sono le commistioni e gli esiti di questa corrente che Ward conclude su una concezione dell’anarchia molto lontana da quella iniziale: dal momento che le idee politiche e sociali anarchiche non si sono realizzate, considera come positive realizzazioni da attribuire a quelle idee alcuni cambiamenti che si sono verificati nel nostro mondo: dall’anti-autoritarismo scolastico a un abbigliamento slegato dalla classe sociale di appartenenza. In questo modo l’anarchia finisce per essere considerata non una dottrina politica, un insieme anche composito di convinzioni ideologiche, ma un atteggiamento individuale adottato nel piccolo della propria vita. Forse, in questo senso più debole e spoliticizzato, più legato alla informalità di un abito che alla pesantezza di una ideologia, non possiamo non dirci anarchici.
Chi volesse avere a portata di mano i fondamentali della dottrina anarchica potrebbe andarsi a leggere il libretto di Colin Ward, L’anarchia. Un approccio essenziale (Milano, Elèuthera, 2008). La parola chiave per descrivere questa introduzione è proprio “essenziale”. In poco più di un centinaio di pagine, infatti, l’autore – non uno storico del pensiero politico, ma piuttosto un colto appassionato dell’idea anarchica – offre in un panorama sintetico i principi di questa corrente di pensiero, l’elenco dei maggiori personaggi che hanno contribuito a formarne il corpus teorico, i momenti della storia contemporanea nei quali quei personaggi (o altre figure che comunque si ispiravano alle loro idee) hanno svolto un ruolo di primo piano.
Siamo certi, però, che esista un nucleo essenziale di idee che definisce in modo esatto ed esaustivo l’anarchismo? Mi spiego: leggendo Ward si ha l’impressione che questa corrente politica (o per meglio dire antipolitica, anche se non nello stesso senso in cui si usa il termine oggi) sia qualcosa di ben caratterizzato, con tratti che ne delimitano la fisionomia, con posizioni precise e univoche: l’insofferenza nei confronti dell’autorità, l’opposizione allo Stato e alla burocrazia, l’anticentralismo, il federalismo, il pacifismo, l’individualismo, l’auto-organizzazione su scala locale dei servizi essenziali, il mutuo soccorso, il cooperativismo, la critica di ogni nazionalismo, la considerazione della punizione per mezzo della prigione come un rimedio peggiore del male, la preoccupazione per le differenze sociali. L’anarchismo considera l’inerzia delle istituzioni non un accidente deprecabile (secondo un atteggiamento realista), ma un male che deve e può essere evitato L’organizzazione anarchica è volontaria, funzionale, temporanea, di piccole dimensioni. Logico che un settore al quale l’anarchia si è applicata sia stato la pedagogia.
In realtà, guardando al pensiero politico contemporaneo, si ha l’impressione che – accanto ad autori e movimenti che hanno cercato consapevolmente di tenersi fedeli alle origini e al nucleo autenticamente anarchico del movimento – le idee dell’anarchismo si siano mischiate, legate, confuse con altre, fino a produrre i risultati più diversi. Ward dà una definizione ad ampio spettro degli anarchici. Ma, guardando agli autori che ricorda, come mettere nello stesso contenitore Friedrich von Hayek e Pierre-Joseph Prodhon? Il primo crede nella bontà della proprietà privata, il secondo la contesta alla radice. Come apparentare Robert Nozick e Henry David Thoreau? Il primo offre una base per una società avanzata e competitiva nella quale lo Stato sia ridotto al minimo, ed è difficile immaginarlo in un dialogo concorde con l’amante dei boschi e il critico della civiltà industriale. Principi quali l’individualismo, il federalismo, la critica allo Stato e alla centralizzazione, che certo sono presenti nell’anarchia e la caratterizzano fortemente, non la caratterizzano tuttavia in modo esclusivo: anche John Stuart Mill era individualista, eppure credeva fermamente nella necessità dello Stato e dell’autorità che esso incarna. Federalista e anticentralista si definisce oggi la Lega Nord, ma è difficile ascrivere questo partito all’eredità anarchica. Vale anche il contrario: così come i temi centrali dell’anarchismo non assumono lo stesso significato nei vari personaggi che li sostengono, allo stesso modo alcune delle idee tipiche dell’anarchia si ritrovano in altre correnti: la preoccupazione per i ceti più disagiati è condivisa da conservatori e reazionari, l’analisi impietosa della burocrazia sempre crescente che stringe l’individuo in una morsa è stata portata da Weber ad altezze inarrivabili, la diffidenza per lo Stato preoccupa – fra Ottocento e Novecento - anche tutti quei socialisti che si definiscono liberali, eppure gli stessi socialisti combattono aspramente l’anarchia sul piano delle idee e nella realtà.
Se la democrazia richiede e presuppone implicitamente un uomo assai virtuoso, l’anarchia ne presuppone uno addirittura angelico: buono, generoso, altruista, spontaneamente dotato della capacità di autolimitarsi. Tra uomini siffatti vede una armonia naturale che le istituzioni positive non rafforzano affatto ma vengono solo a turbare. Si basa su una convinzione antropologica: l’uomo oppresso resta sempre un minore e dà il peggio di sé, l’uomo lasciato libero mostra invece che è capace di governarsi e lascia espandere le qualità delle quali è dotato.
Tante e tanto diverse sono le commistioni e gli esiti di questa corrente che Ward conclude su una concezione dell’anarchia molto lontana da quella iniziale: dal momento che le idee politiche e sociali anarchiche non si sono realizzate, considera come positive realizzazioni da attribuire a quelle idee alcuni cambiamenti che si sono verificati nel nostro mondo: dall’anti-autoritarismo scolastico a un abbigliamento slegato dalla classe sociale di appartenenza. In questo modo l’anarchia finisce per essere considerata non una dottrina politica, un insieme anche composito di convinzioni ideologiche, ma un atteggiamento individuale adottato nel piccolo della propria vita. Forse, in questo senso più debole e spoliticizzato, più legato alla informalità di un abito che alla pesantezza di una ideologia, non possiamo non dirci anarchici.