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Con il petrolio a questi prezzi ci sono due buoni motivi per temere il peggio. Premesso che senza il petrolio a prezzi ragionevoli (50-70 $ a barile), non ci può essere sviluppo, ma solo crisi o recessione, il peggio deve essere temuto perché:
- il prezzo del prodotto ha ormai superato dieci volte il suo costo (10 a 100) e quindi troppe mani e troppi interessi ci sono sopra, difficilmente prevedibili, gestibili o eliminabili, in una situazione di mercato con un cartello monopolista e una domanda sempre più diffusa di bisogno di sviluppo;
- le riserve petrolifere cominciano seriamente ad essere…contate: forse non si tratta ancora di un conto alla rovescia, ma probabilmente si sono già innescate le aspettative del dopo petrolio: e tutte quelle mani che ora ci sono sopra cercheranno di cominciare a fare le cosiddette “politiche di accaparramento” ( maggiori utili nel minor tempo possibile).
Il petrolio deve essere sostituito. Con cosa? Con il concorso di diverse fonti energetiche diverse e con politiche di razionalizzazione dei consumi. Con il nucleare a sicurezza intrinseca (reattori di terza e quarta generazione), per l’ elettricità, in tutti suoi usi finali (industriali, domestici, di calore e dei trasporti). Con il carbone, per usi elettrici e industriali. Con il solare, per usi termici e in futuro anche elettrici. Con le energie vegetali, per usi analoghi a quelli petroliferi. Con l’idrogeno. Con la somma di tante piccole energie rinnovabili, come il biogas, l’energia eolica, quella dalle maree o dal moto ondoso. Con lo sfruttamento dell’immenso potenziale idroelettrico mondiale e con il trasporto di grandi quantità di energia su lunghe o lunghissime distanze.
Ma anche con la trasformazione del carbone in olio (CTL, coal to liquid, carbone verso liquido) o in gas. Già Hitler fece approvvigionare le proprie armate con olio derivato dal carbone della Rhur. In Sud Africa, con tecnologie analoghe, fu prodotto olio da carbone, durante l’apartheid e successivamente (impianti Sasol 1 del 1950 e Sasol 2 e 3 del 1980). La produzione Sasol, con il Sud Africa aperto al mercato mondiale, non sembrava più competitiva con il petrolio: negli anni 80 un barile di petrolio valeva tra i 18 e i 25 dollari, contro i 32 del cosiddetto coal-oil, olio da carbone. Oggi la situazione è cambiata. Ed alcuni grandi investitori, a cominciare da Sasol (che nel frattempo è in Società con la petrolifera Chevron), hanno ricominciato a lavorare attorno a progetti di trasformazione del carbone in olio, in Sud Africa, Cina e India. Con quali prospettive? Buone o ottime, se corrisponde al vero che il costo finale del barile di olio da carbone, analogo a quello petrolifero, sembra collocarsi nelle fattibilità industriali e finanziarie, in una forbice tra 30 e 50 dollari , in funzione della qualità del carbone.
Quali i problemi aperti per lo sfruttamento di queste tecnologie? La scienza industriale del settore è in forte evoluzione e quindi restano ancora dei problemi, solo parzialmente risolti. Necessità di grandi capitali iniziali (come per l’idroelettricità o il nucleare): con i margini di rischio di impresa conseguenti, tenuto conto della evoluzione possibile dei mercati energetici concorrenti. Problemi di inquinamento, risolvibili con la “CO 2 sequestration”, già prevista nella forbice di costi sopra indicata; o ambientali, con l’estensione geografico dello sfruttamento delle miniere di carbone. E anche una certa resistenza psicologica all’uso del carbone.
Ma progetti e realizzazioni dei primi nuovi impianti vanno avanti, con grandi investimenti, soprattutto in India e Cina. Gli stessi Stati Uniti non sembrano tirarsi indietro, se prevedono che tra il 2009 e il 2030 la produzione di olio da carbone, passerà da 1 milione di barili al giorno, a 35 milioni. (la produzione mondiale di petrolio è oggi di circa 85 milioni di barili al giorno, a fronte di tutti gli usi energetici). Così anche la geografia dei Paesi produttori potrebbe cambiare: grandi riserve di carbone sono registrabili negli USA, Russia, Cina, India, Australia, Sud Africa: e anche in Europa (Polonia, Germania, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Spagna, Romania), per circa il 5% del totale delle riserve carbonifere mondiali. Naturalmente questo processo CTL deve essere approfondito: ma assolutamente non ignorato, con il mercato del petrolio in queste condizioni.