Se il petrolio costa 100 $ è il momento di cercare altro

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Cento dollari per un barile di petrolio: la barra è stata raggiunta e superata. I motivi? Molti e spesso oscuri.
In ogni modo sembrano prevalere logiche di mercato (la domanda sempre più alta ed estesa, che tendenzialmente supera l’offerta) e anche logiche speculative (acquisti a termine con la ricerca di forti utili sul prodotto).
Per la gente questa è una mazzata, che si va ad aggiungere a congiunture economiche già difficili. Tutti i prodotti oggetto di mercato hanno una quota di costo imputabile al trasporto e quindi tenderanno ad essere più cari. Non solo. Molti prodotti di uso corrente hanno come loro componente, più o meno essenziale, un derivato dal petrolio. Per esempio tutte le materie plastiche (per materie plastiche dobbiamo pensare evidentemente agli oggetti in plastica,come tubi e oggettistica la più diffusa nella vita quotidiana, ma anche ai loro “parenti”, come le fibre, con cui ci vestiamo). I mobili, per i quali non esiste metallo o legno naturale, per fare tutti i prodotti di cui abbiamo bisogno.
Come i componenti elettrici o elettronici sempre più richiesti nel nostro vivere quotidiano: dai telefoni, fissi o portatili,alle guaine dei fili elettrici, ai computers, agli elettrodomestici, alle TV e così via. Come i colori e le vernici, che hanno una buona quota di componenti di origine petrolifera. Come alcuni alimenti, tipo i dolcificanti. Come i prodotti igienici, i detersivi o saponi, ma anche i profumi o i deodoranti. Come molte medicine, per esempio l’insulina o gli antibiotici. Come i prodotti e gli strumenti di lavoro agricoli: pesticidi, fertilizzanti e diserbanti o trattori, motocoltivatori e taglia erbe. Come gli stessi esplosivi, usati non solo come armi, ma anche per lavori pubblici.
E potremmo continuare a lungo nelle liste di prodotti petrolio-dipendenti, che molti si divertono a compilare, per concludere che forse “l’unica cosa non fatta con il petrolio siamo noi”.
I cento dollari a barile quindi non significa solo che pagheremo i nostri spostamenti più cari; ma che tutto o quasi sarà ancora più caro nel mercato. Senza contare che il prezzo del petrolio costituisce il prezzo di riferimento di tutte le altre materie prime energetiche.
Ci stiamo avviando dunque a quella che gli economisti chiamano recessione: una recessione prodotta dal mercato in sé stesso. Se a questa uniamo l’incapacità politica di combatterla, come è avvenuto in questi ultimi tempi, il rischio di una crisi strutturale del nostro sistema economico sembra proprio alle porte.
Che fare? Ci sarebbe bisogno di una politica monetaria capace di governare la politica economica del Paese. Ma quella ce la siamo giocata quando affidammo tutto all’Euro, con una parità di cambio lira-euro del tutto sciagurata (quelli che così stabilirono perché non hanno la bontà di spiegarci sulla base di quali ragionamenti e di quali parametri fissarono quel cambio?) E ora il direttorio euro gestisce la politica monetaria, come se tutta l’Europa fosse area omogenea e ricca, danneggiando ancor più l’Italia.
Ci sarebbe bisogno di una politica energetica capace di ridurre al massimo i consumi del petrolio e dei suoi derivati, anche per dare una risposta di mercato a chi vende petrolio.
Ma di questo non solo non si vuol parlare, ma si tende nel concreto ad andare in senso inverso: per esempio il combustibile “rifiuti campani” , capace di produrre elettricità al posto del petrolio, ora viene mandato con costi pazzeschi in centrali elettriche di altri Paesi (non a caso nella ricca Germania).
Ci sarebbe bisogno di individuare prodotti di base diversi dal petrolio utilizzabili per la sua sostituzione, come l’olio o il gas da carbone; o l’olio vegetale. Se ne parla, per dire che conosciamo il problema . Ma non si fa assolutamente nulla, se non continuare a tassare massicciamente il petrolio che va nei nostri trasporti e nei nostri prodotti di consumo.
Cioé lo Stato continua a speculare sui motivi della sua recessione. E non saranno i centesimi di sconto annunciati sul prelievo fiscale alle pompe di benzina che potranno modificare il probabile disastro economico prossimo venturo. Ci vogliono altre politiche e soprattutto altra tempestività e concretezza di decisioni. Quando il candidato premier Veltroni in televisione, parlando di energia, confonde l’acqua calda con l’energia elettrica, di origine solare, non ci può che venire la pelle d’oca.
Cento dollari per un barile di petrolio: la barra è stata raggiunta e superata. I motivi? Molti e spesso oscuri.
In ogni modo sembrano prevalere logiche di mercato (la domanda sempre più alta ed estesa, che tendenzialmente supera l’offerta) e anche logiche speculative (acquisti a termine con la ricerca di forti utili sul prodotto).
Per la gente questa è una mazzata, che si va ad aggiungere a congiunture economiche già difficili. Tutti i prodotti oggetto di mercato hanno una quota di costo imputabile al trasporto e quindi tenderanno ad essere più cari. Non solo. Molti prodotti di uso corrente hanno come loro componente, più o meno essenziale, un derivato dal petrolio. Per esempio tutte le materie plastiche (per materie plastiche dobbiamo pensare evidentemente agli oggetti in plastica,come tubi e oggettistica la più diffusa nella vita quotidiana, ma anche ai loro “parenti”, come le fibre, con cui ci vestiamo). I mobili, per i quali non esiste metallo o legno naturale, per fare tutti i prodotti di cui abbiamo bisogno.
Come i componenti elettrici o elettronici sempre più richiesti nel nostro vivere quotidiano: dai telefoni, fissi o portatili,alle guaine dei fili elettrici, ai computers, agli elettrodomestici, alle TV e così via. Come i colori e le vernici, che hanno una buona quota di componenti di origine petrolifera. Come alcuni alimenti, tipo i dolcificanti. Come i prodotti igienici, i detersivi o saponi, ma anche i profumi o i deodoranti. Come molte medicine, per esempio l’insulina o gli antibiotici. Come i prodotti e gli strumenti di lavoro agricoli: pesticidi, fertilizzanti e diserbanti o trattori, motocoltivatori e taglia erbe. Come gli stessi esplosivi, usati non solo come armi, ma anche per lavori pubblici.
E potremmo continuare a lungo nelle liste di prodotti petrolio-dipendenti, che molti si divertono a compilare, per concludere che forse “l’unica cosa non fatta con il petrolio siamo noi”.
I cento dollari a barile quindi non significa solo che pagheremo i nostri spostamenti più cari; ma che tutto o quasi sarà ancora più caro nel mercato. Senza contare che il prezzo del petrolio costituisce il prezzo di riferimento di tutte le altre materie prime energetiche.
Ci stiamo avviando dunque a quella che gli economisti chiamano recessione: una recessione prodotta dal mercato in sé stesso. Se a questa uniamo l’incapacità politica di combatterla, come è avvenuto in questi ultimi tempi, il rischio di una crisi strutturale del nostro sistema economico sembra proprio alle porte.
Che fare? Ci sarebbe bisogno di una politica monetaria capace di governare la politica economica del Paese. Ma quella ce la siamo giocata quando affidammo tutto all’Euro, con una parità di cambio lira-euro del tutto sciagurata (quelli che così stabilirono perché non hanno la bontà di spiegarci sulla base di quali ragionamenti e di quali parametri fissarono quel cambio?) E ora il direttorio euro gestisce la politica monetaria, come se tutta l’Europa fosse area omogenea e ricca, danneggiando ancor più l’Italia.
Ci sarebbe bisogno di una politica energetica capace di ridurre al massimo i consumi del petrolio e dei suoi derivati, anche per dare una risposta di mercato a chi vende petrolio.
Ma di questo non solo non si vuol parlare, ma si tende nel concreto ad andare in senso inverso: per esempio il combustibile “rifiuti campani” , capace di produrre elettricità al posto del petrolio, ora viene mandato con costi pazzeschi in centrali elettriche di altri Paesi (non a caso nella ricca Germania).
Ci sarebbe bisogno di individuare prodotti di base diversi dal petrolio utilizzabili per la sua sostituzione, come l’olio o il gas da carbone; o l’olio vegetale. Se ne parla, per dire che conosciamo il problema . Ma non si fa assolutamente nulla, se non continuare a tassare massicciamente il petrolio che va nei nostri trasporti e nei nostri prodotti di consumo.
Cioé lo Stato continua a speculare sui motivi della sua recessione. E non saranno i centesimi di sconto annunciati sul prelievo fiscale alle pompe di benzina che potranno modificare il probabile disastro economico prossimo venturo. Ci vogliono altre politiche e soprattutto altra tempestività e concretezza di decisioni. Quando il candidato premier Veltroni in televisione, parlando di energia, confonde l’acqua calda con l’energia elettrica, di origine solare, non ci può che venire la pelle d’oca.