Napolitano ha forzato la Costituzione

Di NICOLO' ZANON (Costituzionalista)
Quale legge elettorale vuole il Capo dello Stato? Bella domanda per costituzionalisti. La risposta giusta è che il Presidente non può volere nessuna specifica legge elettorale, perché la decisione sul punto spetta solo al Parlamento. Dicono del resto i giuristi che la scelta sulla legge elettorale è tipicamente frutto della "discrezionalità legislativa", cioè di una libera scelta politica da maturarsi in seno alle Camere. Da noi, il Capo dello Stato non è organo di indirizzo politico, capace di scegliere programmi politici o sistemi elettorali, ma organo di garanzia della Costituzione. E se le cose stanno così, presenta aspetti inconsueti il mandato affidato dal presidente della Repubblica al presidente del Senato: "verificare le possibilità di consenso su un preciso progetto di riforma della legge elettorale e di sostegno a un governo funzionale all'approvazione di quel progetto e all'assunzione delle decisioni più urgenti in alcuni campi". Intendiamoci: il Capo dello Stato non fornisce, e non potrebbe del resto farlo, indicazioni specifiche circa il-contenuto del nuovo sistema elettorale, a parte qualche generico accenno alla necessaria stabilità politica e all'efficienza istituzionale. Resta però la singolarità dell'incarico "a tema".
Napolitano non dice: voglio "una" particolare legge elettorale. Però dice: vorrei che voi forze politiche cambiaste la legge elettorale che c'è. Anzi, piuttosto che sciogliere le Camere e far votare il corpo elettorale (dopo la rovinosa caduta di Prodi e della sua maggioranza), cerco comunque di dar vita a un governo che realizzi questo obbiettivo.
Ognuno vede che, così, il Capo dello Stato interviene in modo forte sulla dinamica dei rapporti tra i partiti. Come sappiamo, essa non aveva condotto a nessun accordo per una riforma condivisa, benché dall'aprile del 2006 (cioè dal giorno dopo la vittoria dell'Unione alle elezioni) si agitino progetti di riforma, commissioni ministeriali di studio, convegni, incontri, ecc. Su questo punto, sembra fallito anche il recente dialogo tra Berlusconi e Veltroni. Evidentemente, non esistono allo stato le condizioni politiche per un accordo. Eppure, il Capo dello Stato insiste perché l'accordo si trovi e impone al sistema dei partiti di tornare a discutere. Lo fa, elemento degno di nota, richiamando le preoccupazioni di "significative rappresentanze del mondo economico e della società civile", facendosi cioè forte del consenso di ambienti esterni al Parlamento e ai partiti.
È vero che la Costituzione e la prassi istituzionale fin qui nota non prevedono né schemi rigidi né vie obbligate per la risoluzione delle crisi di governo. È vero che i poteri del presidente della Repubblica sono particolarmente elastici, idonei a modellarsi sulle specifiche esigenze che la vita politica faccia emergere. Ma il mandato affidato a Marini solleva interrogativi. Può il Capo dello Stato provare a imporre a Parlamento e partiti - che hanno dimostrato sostanzialmente di non volerlo - di cambiare la legge elettorale? Può farlo richimando la volontà di poteri "forti" esterni al Parlamento? Può dettare una serie di obbiettivi molto specifici a colui che è incaricato di formare il nuovo governo? Chi e cosa garantisce che il nuovo governo, una volta avuta la fiducia del Parlamento, debba limitarsi a perseguire quegli obbiettivi? Anche la fiducia sarà "a tema"? L'indirizzo politico di un governo non dovrebbe essere autonomamente deciso dalla maggioranza parlamentare (sempre che ne esista una)?
Sono interrogativi perlopiù retorici , a risposta quasi obbligate. Ma il doverseli porre indica la singolarità della vicenda.
Comunque, fare una (buona) riarma elettorale è, da sempre, una Ielle cose più difficili per un Paramento, perché mai come in questo caso ciascun partito pensa ai iropri interessi. Ed è singolare >ensare che a un buona riforma si >ossa arrivare nella situazione di-igregata in cui la caduta dell'Unione ha lasciato il Parlamento. Eppure, si dice, non è accettabile vo-:are con il porcellum, perché è nolto probabile che la nuova maggioranza si trovi frammentata 2 paralizzata come l'Unione di Prodi. L'argomento è facilmente confutabile, perché si giudica il rendimento del porcellum a partire da un risultato elettorale del tutto imprevedibile, cioè un sostanziale pareggio tra le coalizioni, che statisticamente non si verificherà per chissà quante competizioni
elettorali future. E non è del tutto logico decidere contro lo scioglimento anticipato, cioè contro il voto dei cittadini, in nome di una previsione del tutto ipotetica.
Bisogna essere però fiduciosi. La dichiarazione del presidente della Repubblica al termine delle consultazioni, a leggerla bene, non chiude affatto la porta allo scioglimento anticipato. Dice che si tratterebbe di una decisione grave e impegnativa, a meno di due anni dalle ultime elezioni. Non si può che convenirne: sia tuttavia lecito pensare, sommessamente, che sarebbe la decisione adatta alle circostanze.
* Ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano
Quale legge elettorale vuole il Capo dello Stato? Bella domanda per costituzionalisti. La risposta giusta è che il Presidente non può volere nessuna specifica legge elettorale, perché la decisione sul punto spetta solo al Parlamento. Dicono del resto i giuristi che la scelta sulla legge elettorale è tipicamente frutto della "discrezionalità legislativa", cioè di una libera scelta politica da maturarsi in seno alle Camere. Da noi, il Capo dello Stato non è organo di indirizzo politico, capace di scegliere programmi politici o sistemi elettorali, ma organo di garanzia della Costituzione. E se le cose stanno così, presenta aspetti inconsueti il mandato affidato dal presidente della Repubblica al presidente del Senato: "verificare le possibilità di consenso su un preciso progetto di riforma della legge elettorale e di sostegno a un governo funzionale all'approvazione di quel progetto e all'assunzione delle decisioni più urgenti in alcuni campi". Intendiamoci: il Capo dello Stato non fornisce, e non potrebbe del resto farlo, indicazioni specifiche circa il-contenuto del nuovo sistema elettorale, a parte qualche generico accenno alla necessaria stabilità politica e all'efficienza istituzionale. Resta però la singolarità dell'incarico "a tema".
Napolitano non dice: voglio "una" particolare legge elettorale. Però dice: vorrei che voi forze politiche cambiaste la legge elettorale che c'è. Anzi, piuttosto che sciogliere le Camere e far votare il corpo elettorale (dopo la rovinosa caduta di Prodi e della sua maggioranza), cerco comunque di dar vita a un governo che realizzi questo obbiettivo.
Ognuno vede che, così, il Capo dello Stato interviene in modo forte sulla dinamica dei rapporti tra i partiti. Come sappiamo, essa non aveva condotto a nessun accordo per una riforma condivisa, benché dall'aprile del 2006 (cioè dal giorno dopo la vittoria dell'Unione alle elezioni) si agitino progetti di riforma, commissioni ministeriali di studio, convegni, incontri, ecc. Su questo punto, sembra fallito anche il recente dialogo tra Berlusconi e Veltroni. Evidentemente, non esistono allo stato le condizioni politiche per un accordo. Eppure, il Capo dello Stato insiste perché l'accordo si trovi e impone al sistema dei partiti di tornare a discutere. Lo fa, elemento degno di nota, richiamando le preoccupazioni di "significative rappresentanze del mondo economico e della società civile", facendosi cioè forte del consenso di ambienti esterni al Parlamento e ai partiti.
È vero che la Costituzione e la prassi istituzionale fin qui nota non prevedono né schemi rigidi né vie obbligate per la risoluzione delle crisi di governo. È vero che i poteri del presidente della Repubblica sono particolarmente elastici, idonei a modellarsi sulle specifiche esigenze che la vita politica faccia emergere. Ma il mandato affidato a Marini solleva interrogativi. Può il Capo dello Stato provare a imporre a Parlamento e partiti - che hanno dimostrato sostanzialmente di non volerlo - di cambiare la legge elettorale? Può farlo richimando la volontà di poteri "forti" esterni al Parlamento? Può dettare una serie di obbiettivi molto specifici a colui che è incaricato di formare il nuovo governo? Chi e cosa garantisce che il nuovo governo, una volta avuta la fiducia del Parlamento, debba limitarsi a perseguire quegli obbiettivi? Anche la fiducia sarà "a tema"? L'indirizzo politico di un governo non dovrebbe essere autonomamente deciso dalla maggioranza parlamentare (sempre che ne esista una)?
Sono interrogativi perlopiù retorici , a risposta quasi obbligate. Ma il doverseli porre indica la singolarità della vicenda.
Comunque, fare una (buona) riarma elettorale è, da sempre, una Ielle cose più difficili per un Paramento, perché mai come in questo caso ciascun partito pensa ai iropri interessi. Ed è singolare >ensare che a un buona riforma si >ossa arrivare nella situazione di-igregata in cui la caduta dell'Unione ha lasciato il Parlamento. Eppure, si dice, non è accettabile vo-:are con il porcellum, perché è nolto probabile che la nuova maggioranza si trovi frammentata 2 paralizzata come l'Unione di Prodi. L'argomento è facilmente confutabile, perché si giudica il rendimento del porcellum a partire da un risultato elettorale del tutto imprevedibile, cioè un sostanziale pareggio tra le coalizioni, che statisticamente non si verificherà per chissà quante competizioni
elettorali future. E non è del tutto logico decidere contro lo scioglimento anticipato, cioè contro il voto dei cittadini, in nome di una previsione del tutto ipotetica.
Bisogna essere però fiduciosi. La dichiarazione del presidente della Repubblica al termine delle consultazioni, a leggerla bene, non chiude affatto la porta allo scioglimento anticipato. Dice che si tratterebbe di una decisione grave e impegnativa, a meno di due anni dalle ultime elezioni. Non si può che convenirne: sia tuttavia lecito pensare, sommessamente, che sarebbe la decisione adatta alle circostanze.
* Ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano