Sono trascorse diverse settimane, e tanta acqua è passata sotto ai ponti. Ma di certo ricorderete tutti le vibranti parole di sdegno con le quali la grande stampa italiana aveva commentato le presunte “rivelazioni” di Repubblica sulla Spectre che negli anni del governo Berlusconi avrebbe dominato Rai e Mediaset omologando l’informazione pubblica e privata e asservendola ai voleri del Capo.
Attentato! Violazione del pluralismo!! E’ la morte della libertà di informazione!!! Nelle intercettazioni pubblicate dal quotidiano di largo Fochetti i soloni nostrani avevano intinto le loro penne acuminate senza fare economia di aggettivi, declinando in ogni modo possibile il più accorato catastrofismo sullo stato della nostra democrazia.
Il problema, secondo le solerti vestali della libera informazione, è che la tivù pubblica e quella privata avrebbero rinunciato per lungo tempo a farsi concorrenza tra di loro, abdicando ai principi del mercato, uniformando le proprie scelte strategiche in ossequio al diktat politico del tiranno di turno (sempre lo stesso, in verità). Il cruccio, insomma, risiedeva nel fatto che – secondo gli indignati speciali in servizio permanente effettivo – negli anni in cui il Cav. era a Palazzo Chigi, cambiare canale sarebbe stato soltanto un mero esercizio ginnico per le falangi rattrappite, tanto Rai e Mediaset pari erano, e di comune accordo scodellavano ai propri telespettatori il medesimo brodo.
Ma il tempo passa, e ogni giorno la cronaca impone i suoi ritmi e la sua agenda. Ora è il tempo di Mastella, e gli autorevoli commentatori hanno accantonato l’indignazione per il “Grande Blob” per occuparsi di quel che accade a Ceppaloni, e discettare sul meccanismo delle nomine e sul condizionamento politico nella scelta del management sanitario nelle Regioni.
Il Corriere della Sera s’è affidato a Gian Antonio Stella, per La Stampa il compito è toccato a Lucia Annunziata, Repubblica ha schierato Francesco Merlo. Tre quotidiani senz'altro liberi, tre penne d'eccezione, tre articoli diversi. Chissà cosa avranno pensato quando hanno scoperto che per tutti e tre i loro direttori pluralisti hanno usato lo stesso identico titolo: "Così fan tutti". Appunto.