Scorie radioattive cercano "casa" in Italia

Mentre in Italia si continua a discutere sulla possibilità, abbastanza remota, di un ritorno all’energia nucleare, un problema di certo più immediato e concreto turba il sonno degli enti locali: quello della gestione delle scorie prodotte tra gli anni Sessanta e Ottanta, prima che il referendum abrogativo del 1987 chiudesse i cancelli delle centrali.
Entro i prossimi sei mesi dovrà essere individuato un sito dove realizzare un deposito unico nazionale per il trattamento dei 90mila metri cubi di scorie italiane: 65mila provenienti dallo smantellamento delle centrali nucleari (le scorie delle centrali dell'Enel che, dopo il ritrattamento, stanno per tornare vetrificate dalla Francia) e 25mila già stoccati nei diversi siti nazionali.
Lo ha annunciato il ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, al termine della prima riunione sul tema con le Regioni. A breve sarà costituito un tavolo di lavoro misto (ministero, Apat, Enea, Regioni) che avrà il supporto della Sogin, la società costituita nel 1999 per la gestione del post nucleare in Italia.
* Il quadro attuale
In Italia sono presenti depositi temporanei di rifiuti radioattivi negli attuali siti nucleari; vari interventi sono stati effettuati per garantire all'interno di ciascun sito il contenimento del materiale radioattivo esistente in attesa che maturi una scelta diversa. Da una situazione di questo tipo, deriverebbero oltre 20 siti di deposito in 11 regioni. Questo comporterebbe numerosi inconvenienti, perché i siti esistenti non sono stati progettati per uno stoccaggio di medio-lungo periodo e dovrebbero essere realizzare infrastrutture ex novo. Inoltre resterebbe aperto il problema della destinazione dei rifiuti radioattivi collocati all'estero e che rientreranno in Italia tra il 2020 e il 2025, né si potrebbero smaltire i rifiuti provenienti da attività mediche e industriali.
* Il “toto-sito”
La soluzione del sito unico è la strada scelta da tutti i paesi europei. L'obiettivo è realizzare una struttura di superficie o subsuperficie e di tipo reversibile, dove collocare in via definitiva scorie di II categoria (periodo di decadimento variabile tra alcune decine e alcune centinaia d'anni) e, in via temporanea, di III categoria (decadimento in alcune millenni; sul totale nazionale da trattare rappresentano circa il 5% delle scorie) in attesa di un deposito definitivo anche per questo tipo di rifiuti. Ma come l’hanno presa le Regioni?
Gli “altolà” si sprecano. Dal Tavoliere delle Puglie al Mantovano, sono 33 i siti “top secret” che potrebbero ospitare le scorie. “Top secret”, ovviamente, per il timore che i cittadini scendano in piazza contro il nuovo deposito.
Le proteste, anche clamorose quanto a risultati, non sono mancate. Nel novembre 2003 il governo Berlusconi ha approvato il cosiddetto decreto "Scanzano”, che stabiliva la sistemazione di tutti i rifiuti e i materiali nucleari esistenti in Italia in un deposito nazionale geologico (e non di superficie) da realizzare nel comune di Scanzano Jonico, in Basilicata.
La decisione provocò dure reazioni politiche da parte delle comunità locali e degli ambientalisti. Il risultato? Nella conversione in legge del decreto Scanzano il nome della località lucana fu eliminato dal testo e l'individuazione del sito venne demandata a una commissione ad hoc, mai costituita.
Entro i prossimi sei mesi dovrà essere individuato un sito dove realizzare un deposito unico nazionale per il trattamento dei 90mila metri cubi di scorie italiane: 65mila provenienti dallo smantellamento delle centrali nucleari (le scorie delle centrali dell'Enel che, dopo il ritrattamento, stanno per tornare vetrificate dalla Francia) e 25mila già stoccati nei diversi siti nazionali.
Lo ha annunciato il ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, al termine della prima riunione sul tema con le Regioni. A breve sarà costituito un tavolo di lavoro misto (ministero, Apat, Enea, Regioni) che avrà il supporto della Sogin, la società costituita nel 1999 per la gestione del post nucleare in Italia.
* Il quadro attuale
In Italia sono presenti depositi temporanei di rifiuti radioattivi negli attuali siti nucleari; vari interventi sono stati effettuati per garantire all'interno di ciascun sito il contenimento del materiale radioattivo esistente in attesa che maturi una scelta diversa. Da una situazione di questo tipo, deriverebbero oltre 20 siti di deposito in 11 regioni. Questo comporterebbe numerosi inconvenienti, perché i siti esistenti non sono stati progettati per uno stoccaggio di medio-lungo periodo e dovrebbero essere realizzare infrastrutture ex novo. Inoltre resterebbe aperto il problema della destinazione dei rifiuti radioattivi collocati all'estero e che rientreranno in Italia tra il 2020 e il 2025, né si potrebbero smaltire i rifiuti provenienti da attività mediche e industriali.
* Il “toto-sito”
La soluzione del sito unico è la strada scelta da tutti i paesi europei. L'obiettivo è realizzare una struttura di superficie o subsuperficie e di tipo reversibile, dove collocare in via definitiva scorie di II categoria (periodo di decadimento variabile tra alcune decine e alcune centinaia d'anni) e, in via temporanea, di III categoria (decadimento in alcune millenni; sul totale nazionale da trattare rappresentano circa il 5% delle scorie) in attesa di un deposito definitivo anche per questo tipo di rifiuti. Ma come l’hanno presa le Regioni?
Gli “altolà” si sprecano. Dal Tavoliere delle Puglie al Mantovano, sono 33 i siti “top secret” che potrebbero ospitare le scorie. “Top secret”, ovviamente, per il timore che i cittadini scendano in piazza contro il nuovo deposito.
Le proteste, anche clamorose quanto a risultati, non sono mancate. Nel novembre 2003 il governo Berlusconi ha approvato il cosiddetto decreto "Scanzano”, che stabiliva la sistemazione di tutti i rifiuti e i materiali nucleari esistenti in Italia in un deposito nazionale geologico (e non di superficie) da realizzare nel comune di Scanzano Jonico, in Basilicata.
La decisione provocò dure reazioni politiche da parte delle comunità locali e degli ambientalisti. Il risultato? Nella conversione in legge del decreto Scanzano il nome della località lucana fu eliminato dal testo e l'individuazione del sito venne demandata a una commissione ad hoc, mai costituita.