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=Snake=(ITA)= ha scritto:lo ha già deto marconiper qualche secondo fa, mi dispia, a cosa si pensa che era dovuto il suicidio?
marcosniper ha scritto:=Snake=(ITA)= ha scritto:lo ha già deto marconiper qualche secondo fa, mi dispia, a cosa si pensa che era dovuto il suicidio?
forse intendevi Nemesys!!!![]()
il governo, distratta la magistratura, spensierata l'informazione, mentre si combatte - intorno alla Telecom e al Sismi - un'inesorabile contesa con la minaccia, il ricatto, la menzogna che afferra e discredita. Il conflitto ha già fatto un morto: Adamo Bove, manager della Telecom, saltato giù da un viadotto della Tangenziale di Napoli (s'indaga per istigazione al suicidio). Se la logica ha un senso, Adamo Bove potrebbe non essere l'ultimo. La resa dei conti, sotto gli occhi di tutti, è cruenta. Chi è intimidito da due inchieste giudiziarie che si intersecano e sovrappongono (le intercettazioni abusive alla Telecom; il sequestro di Abu Omar che coinvolge il Sismi) invoca l'impunità coinvolgendo (o minacciando di coinvolgere) chi ancora ne è fuori, a torto o a ragione. Chi ne è fuori, magari nel passato complice, manovra per tenere le attenzioni investigative, e tutti i guai, soltanto intorno agli spaventati. Ne nasce un gomitolo dove si aggrovigliano molti filacci, più storie, il controverso destino di tre uomini, oggi con l'acqua alla gola ma con un nodoso bastone stretto ancora tra le mani: ciò che sanno, quel che possono raccontare.
Gli uomini sono tre. Giuliano Tavaroli, nel tempo capo della Security di Pirelli e Telecom dove ha avuto ai suoi ordini 500 uomini; Marco Mancini, fino all'altro ieri direttore delle Operazioni e del Controspionaggio del servizio segreto militare (Sismi); Emanuele Cipriani, patron di tre attivissime agenzie private di investigazione: la Polis d'Istinto di Firenze, la Plus Venture Management delle Isole Vergini, la Security Research Advisor di Londra, negli anni il loro fatturato si è formato per il 50 per cento (Polis) e fino all'80 per cento (PVM e SRA) con le commesse di Pirelli e Telecom.
Nel gomitolo, tra molte muffe, sono stretti tre nodi. Le intercettazioni realizzate abusivamente senza alcuna autorizzazione giudiziaria. La natura e la correttezza dei rapporti tra la Telecom e il Sismi. Decine di migliaia di file di un archivio elettronico che custodisce informazioni illegalmente raccolte sul conto di società e persone fisiche, politici, banchieri, uomini di finanza, giornalisti, magistrati e finanche giocatori, arbitri e manager di calcio. I tre nodi del gomitolo rimandano ad alcune domande. I vertici della Telecom e del Sismi erano consapevoli del lavoro illegale di Tavaroli, Mancini e Cipriani? Quel lavoro è stato loro commissionato (e, in questo caso, da chi?) o se lo sono attribuiti in autonomia abusando della fiducia riposta in loro? O è stato loro commissionato e quei tre, fraudolentemente, vi hanno fatto fronte con un piede oltre la soglia del codice penale?
Le risposte verranno dalle istruttorie della procura di Milano, ma per intanto quel che si vede dà apprensione. Soltanto Telecom si è mossa - con qualche furba contraddizione - per correre ai ripari. Anche se salmodiando una fantasiosa litania complottistica, la società telefonica ha ordinato un'inchiesta interna. Ha aperto le porte all'istruttoria del Garante della Privacy e alle indagini della Guardia di Finanza. Lavora a nuove procedure e sistemi informatici che proteggano il trattamento dei dati personali. Ha allontanato chi ha commesso abusi e scorrettezze.
La responsabilità economica di Telecom di fronte al mercato, agli azionisti e ai risparmiatori ( e forse alle sue difficoltà di bilancio) pare essere stata più vincolante della responsabilità politica.
Nicolò Pollari
Virtualmente per tutelare l'efficienza del Sismi, il governo ha rinviato a tempi meno affaticati il rinnovamento della catena di comando e la radicale riforma dell'intelligence. Doverosa preoccupazione, ma pessima decisione. Come chiunque può capire, in cima all'agenda degli uomini del Sismi oggi non c'è né l'efficienza né la sicurezza nazionale, ma una preoccupazione personale, l'imperativo di guardarsi dagli agguati. Di proteggersi dalle trappole di chi, coinvolto in mosse abusive, vuole rifarsi una verginità e guadagnarsi il futuro affondando l'amico o il rivale.
Le incertezze del governo si sposano pericolosamente con l'inerzia" (non si sa come definirla) della procura di Milano che indaga contro Tavaroli, Mancini e Cipriani con l'ipotesi di "associazione per delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione d'informazioni coperte da privacy".
Di quest'inchiesta, dopo un anno e mezzo, si sa poco o nulla. Non si conosce il numero e il nome degli indagati. Si ignorano gli orizzonti dell'istruttoria e la qualità e quantità delle fonti di prova. Non si sa neppure se ha fatto qualche passo in avanti o è ferma al palo. Si sa soltanto che, di recente, i pubblici ministeri hanno inviato al giudice delle indagini preliminari una richiesta di misure di custodia cautelare. Insomma, chiedono un certo numero di arresti. Si sa - se le indiscrezioni di fonte legale sono corrette - che in questi giorni il giudice (Paola Belsito) ha restituito agli uffici della procura il provvedimento chiedendo verifiche e precisazioni. Con evidenza, gli argomenti proposti dall'accusa le devono essere apparsi fragili, incerti, forse inconsistenti. Quel che appare grave è che alla fase di apparente stallo giudiziario corrispondono le frenetiche manovre di chi solleva polvere e sparge nebbia in un clima di disinformazione, inquinamento, intimidazione che meriterebbe un intervento energico di quella procura incerta. Ne ha pagato il prezzo, per il momento, Adamo Bove, manager della Telecom, già rispettato investigatore di polizia e capo della sicurezza di Tim.
"La vita di Adamo - ha raccontato al Messaggero il fratello Guglielmo, avvocato, anch'egli in Telecom - è cambiata nei primi giorni di giugno quando alcuni articoli di stampa hanno associato il suo nome a quello delle inchieste sulla spy story". A Repubblica, uno strettissimo parente riferisce che "Adamo s'era convinto che c'era chi voleva incastrarlo". A cominciare da giugno, Adamo Bove ha la certezza di essere entrato in un gorgo di rappresaglia e avvertimenti. Fonti Telecom spifferano che, dalla postazione di Bove, fosse possibile estrarre, senza lasciarne traccia, tabulati sui numeri in arrivo e in partenza delle utenze, la durata delle chiamate, l'orario, la località o "marcare" le utenze per riconoscere il momento in cui venivano intercettate dall'autorità giudiziaria. Si lascia intendere che esistono documenti di questo lavoro sporco perché qualche "sottoposto" ha conservato gli ordini scritti di Bove. Appunti autografi su post.it. Sono indicazioni che dovrebbero mettere in allarme la procura di Milano. A lume di logica, sollecitarla a valutare meglio i comportamenti del manager.
Al contrario, i pubblici ministeri si avvalgono della collaborazione di Adamo Bove. Il suo lavoro è "preziosissimo", dicono i pubblici ministeri, per scovare i telefoni cellulari degli agenti del Sismi, implicati nel sequestro di Abu Omar; per nascondere in Telecom quelle intercettazioni agli occhi indiscreti e alle curiosità infedeli. La fiducia che i magistrati ripongono in Bove è incondizionata e dunque dovrebbe renderli vigili dinanzi alle manovre calunniose che assediano il loro generoso collaboratore. Il lusinghiero giudizio dovrebbe imporre domande su chi e perché obliquamente lo intimidisce o ricatta. Deve "pagare" il lavoro che ha svelato la complicità delle gerarchie del Sismi nel sequestro di Abu Omar? O anche l'opposizione (o magari una iniziale acquiescenza) agli abusi intercettatori in Telecom?
A luglio contro Adamo Bove giunge un nuovo, nero segnale. La procura si chiede come mai nelle mani di un giornalista di Libero (indagato) sia finita una lista di telefoni mobili spiati, tra cui le linee di alcuni giocatori dell'Inter (Vieri, Ronaldo) e del banchiere Cesare Geronzi. Primi giorni di luglio. Viene interrogato un funzionario della Telecom che, secondo indiscrezioni di buona fonte, chiama in causa Adamo Bove. E' una testimonianza che al manager provoca molte difficoltà in Telecom, ma che non muta di una virgola l'ammirazione di cui gode tra i pubblici ministeri. Che infatti ancora oggi, smentendo ogni suo coinvolgimento nell'inchiesta, ne difendono l'integrità morale e professionale. Al punto che i magistrati di tre procure - Milano, Roma e Napoli - si dicono "certi" che, se Bove sospettava di essere pedinato e intercettato, "pedinamenti e intercettazioni possono esserci stati, perché troppo sapiente e lucido era l'uomo e per nulla, come pure malignamente si è detto e scritto, depresso".
I due quadri sono inconciliabili e sollecitano qualche perplessità sull'inattività della procura di Milano. Se Adamo Bove è il "tecnico" correttissimo che sostiene la procura, come è stato possibile che i pubblici ministeri non si siano resi conti dello spaventevole assedio che lo stringeva? Come è accaduto che non abbiano compreso che in giro c'è chi è in grado - forse anche con intercettazioni e pedinamenti - di manipolare le informazioni e intimidire i testimoni: in una formula, inquinare le indagini? Come può passare inosservato che Giuliano Tavaroli dica (Sole-24 ore, ieri) che "è ancora troppo presto" per fare i conti con "i delatori"? Quanto tempo occorrerà prima che la procura di Milano, nella colpevole inazione del governo, faccia un convincente passo per impedire che i miasmi venefici degli affari Telecom e Sismi appestino ancora l'aria?
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