Più che innalzare la libertà del sistema informativo italiano, Gelentano ha accresciuto la disinformazione: la classifica di Freedom House (FH) sulla libertà di stampa, illustrata dal molleggiato quale prova della barbarie mediatica del nostro Paese (crollato al 77° posto), è un documento scandalosamente anti-scientifico, fondato su un sondaggio d'opinione di ex giornalisti sconosciuti e presunti analisti senza titolo, stipendiati dalla stessa FH, quasi tutti americani mai sbarcati in Italia. E che hanno attinto da "una varietà di notizie domestiche e internazionali", dimenticandosi di citare proprio Santoro e Biagi. Si tratta dunque di un rapporto soggettivo e inattendibile, prova ne sia che un'analoga classifica, sempre discrezionale ma stilata dai più seri "Reporter senza frontiere", colloca l'Italia al 39° posto.
Essere il re degli ignoranti non impedisce di vender dischi o fare ascolti. Costituisce però una buona base per cadere nei tranelli del giornalismo militante, da cui Gelentano ha mutuato la sua pagella. La quale viene divulgata dai media d'opposizione come oro colato. Senza che nessuno si prenda la briga di andarsi
a leggere le note metodolo-giche, ossia i criteri di compilazione. Chiunque può consultarli su http://www.freedomhouse.org. Dove gli autori affermano per cominciare d'aver semplificato la metodologia. Come? Costruendo una griglia di 23 domande per tutti i Paesi, divise in 3 categorie (ambiente legale, politico, economico) e unite da un'estrema vaghezza e da arbitrari punteggi. Qualche esempio: «C'è libertà di diventare giornalista e fare giornalismo?» (domanda 8A), «Ci sono leggi sulla libertà d'informazione, e i giornalisti le utilizzano?» (5A), «Fino a che punto l'informazione è determinata dal governo o da un interesse di parte?» (1B), «Esiste censura ufficiale?» (3B), «I giornalisti si autocensurano?» (4B). E ancora: «I giornalisti sono liberi di coprire le news?» (6B), «Fino a che punto il controllo statale sui media influenza la diversità di vedute?» (1C), «La proprietà di media privati è abbastanza trasparente da consentire di giudicarne l'imparzialità?» (2C). Alla voce Fonti, si spiega in una riga (una!) chi ha avuto il compito di dare le risposte, senza nomi né dettagli: «corrispondenti oltremare, staff e consulenti di viaggio, visitatori internazionali». Altre fonti, «rapporti di organizzazioni su libertà di stampa e diritti umani, specialisti in geografia, rapporti governativi e multilaterali», e infine la «varietà di notizie media-tiche» al centro delle analisi dell' International freedom of epression network (sempre gruppo FH). Uno sguardo agli autori del vo-lumetto svela l'arcano. Colui che ha curato i questionali per l'Europa occidentale è professore di politica alla City university, Tho-mas Gold. Coadiuvato da Sarah Repucci, «laureata in scienze politiche, autrice di pezzi sull'ingresso della Turchia nella Uè». E da Alex Taurel, "«aureato in Spagnolo e già collaboratore alle presidenziali del gen. Clark». L'elenco comprende 30 persone, di cui 8 consulenti esterni. Ci si trova di tutto, dall'ex corrispondente di Newsweek in Argentina, Martin Andersen, all'ex opinionista di Radio Liberty, Daniel Kimmage, all'ex capo dell'ufficio filippino per la France Press, Crispin Maslog. Qualcuno sarebbe uno scrittore (su internet non v'è traccia), altri anonimi volontari di FH, o professori di comunicazione nei più sperduti atenei Usa. Non manca un «giornalista indipendente», il cameade Winifred Tate. E persino la direttrice del progetto, Karin Karlekar, è una semplice «laureata in storia indiana». Insomma una vera armata Branca-leone, che cita, fra i motivi del giudizio sull'Italia, le dimissioni della Gruber, l'influenza di Ricucci sul Corriere, i no (rientrati) di Ciampi alla Gasparri e la condanna ai domiciliari per il senatore Iannuzzi (senza accorgersi che è giornalista di destra). Neanche una parola su Santoro. Ci viene per giunta riconosciuto «l'orientamento eterogeneo e spesso antigovernativo» della nostra stampa, ma specificando che è fattore di poco conto sul complesso delle domande. Sfortunatamente questa metodologia fai-da-te non è un'esclusiva della classifica sulla stampa. La utilizzano anche altri enti -vedi World Economie forum o Trasparency international- per stilare pagelle su competitivita, ambiente, corruzione o armi. Con esiti altrettanto comici: l'industria cinese sarebbe meno competitiva di quella italiana, il Brasile più ambientalista di noi, il Botswana meno corrotto e la Russia più pacifista.
Francesco Ruggeri http://www.laltrogiornale.com