di Aragorn il 31 gen 2008, 01:39
“Si può formare un governo elettorale? No, non si può formarlo. Un leader politico che vuol formare un governo non per governare ma per fare le elezioni, sciogliendo il Parlamento, è un piccolo Mussolini istituzionalizzato…”.
A parlare non è un dirigente del centrodestra dei nostri giorni alle prese con la crisi di governo e con le consultazioni di rito al Quirinale, preoccupato che il Presidente Napolitano potesse compiere uno strappo e conferire ad una personalità istituzionale, seppur autorevole come Franco Marini, un mandato pieno per la formazione di un nuovo esecutivo “a termine” in vista dell’ineludibile consultazione elettorale. La citazione è tratta da un editoriale comparso sul Manifesto oltre trent’anni fa. Un testo che Franco Bassanini, all’epoca giovane ma già affermato giurista, deve aver preso davvero sul serio, al punto da citarlo in calce ad un illuminante scritto comparso nel 1972 sulla “Rivista trimestrale di diritto pubblico”.
Ed è proprio al saggio di Bassanini che Silvio Berlusconi e Renato Schifani hanno inteso riferirsi rammentando al Capo dello Stato che nel nostro ordinamento non è prevista la costituzione di un esecutivo formato esclusivamente per condurre il Paese alle elezioni (per questo, basta e avanza il relitto del governo Prodi) e che tale indicazione è ampiamente supportata da giuristi del calibro di Onida, Cheli e Bassanini, non certo sospettabili di tramare per il ritorno della Cdl alla guida del Paese.
La situazione contingente dalla quale l’ex ministro Ds prendeva le mosse trentasei anni orsono nel suo illuminante scritto è la crisi di governo del gennaio – febbario ’72. A tal proposito, Bassanini si interrogava sull’ampiezza e sulla natura dei poteri conferiti dalla Costituzione al presidente della Repubblica, sulla disciplina dello scioglimento delle Camere e, giù per li rami, sulla legittimità di un “governo elettorale”.
“Il nostro ordinamento costituzionale – scriveva allora Bassanini – se prevede l’ipotesi di un governo fatto per governare, non prevede invece quella di un governo esclusivamente elettorale: accertata l’inevitabilità dello scioglimento e la necessità del ricorso a nuove elezioni”, per il Capo dello Stato – e qui Bassanini cita Enzo Cheli e Valerio Onida – subentra il dovere di “preservare fino alla data delle elezioni le condizioni politiche esistenti al momento in cui la decisione dello scioglimento matura”, procedendo allo scioglimento con “quel governo che occasionalmente risulti in carica al momento in cui le condizioni obiettive dello scioglimento si vengono a delineare”.
Una soluzione diversa, osserva ancora l’ex ministro della Quercia, “oltre che incompatibile con il principio costituzionale per cui il governo deve essere formato per ottenere la fiducia delle Camera, costituisce anche (…) un precedente assai pericoloso, nella misura in cui tende a legittimare interventi del Capo dello Stato nella formazione dell’indirizzo politico sui quali non appare possibile o comunque agevole l’esercizio in forma tempestiva dei normali strumenti di controllo democratico (…). La possibilità di un abuso, o comunque di un ‘uso non imparziale dei poteri presidenziali’, si estende notevolmente se si ammette la possibilità di formare (e quindi di affidare l’incarico per formare) un governo intenzionalmente minoritario, ma cionondimeno destinato a governare il Paese per diversi mesi”.
La “dottrina Bassanini” è dunque chiarissima. Netta, inequivocabile, al di là di ogni interpretazione. Lo era in un contesto istituzionale nel quale era il Parlamento, proporzionalmente eletto, a determinare le maggioranze che sostenevano i governi. Lo è ancor di più nel momento in cui l’introduzione del premio di maggioranza nella legge elettorale ha modificato la Costituzione di fatto attribuendo al popolo sovrano la scelta della coalizione e del premier.
A Napolitano difficilmente questo poteva sfuggire, tanto è vero che dall’impasse istituzionale è uscito cavandosela con un “fallo laterale”: attribuendo a Marini qualcosa in più di un incarico esplorativo, e meno di un mandato pieno. Vale a dire quello che con linguaggio bizantino d’altri tempi sarebbe stato definito un “pre-incarico”.
Il nesso pare invece essere sfuggito all’autore – Bassanini, per l’appunto – che, messo di fronte all’evidente significato del suo scritto, e alle possibili ripercussioni sull’evoluzione della crisi che ha investito la sua parte politica, ha accusato Schifani d’aver tratto dalla monografia del ’72 “conclusioni arbitrarie”. Obietta, l’ex ministro, che “quella opinione dottrinale non fu seguita dalla prassi”, e che “riguardava una fattispecie del tutto diversa da quella attuale. Tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione (con la sola eccezione della pattuglia radicale) – spiega -, concordavano allora sulla opportunità di sciogliere le Camere. Questa convergenza oggi non c’è. Numerosi partiti ritengono che prima di sciogliere le Camere si debba tentare di approvare una buona legge elettorale, sostituendo il famigerato porcellum”. E conclude sostenendo che le sue tesi del ’72 non hanno attinenza con il tentativo di varare un governo “di scopo” o “a termine” per fare la riforma elettorale “ed eventualmente per portare a termine la riforma costituzionale o per gestire le crisi in atto”.
A Bassanini replica il senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello: “Nella polemica sulla legittimità del governo elettorale che oppone il senatore Schifani al professor Franco Bassanini – afferma - è vero, come sostiene quest’ultimo, che rispetto al 1972 il contesto istituzionale è cambiato. In particolare, oggi esiste una dinamica bipolare rafforzata da un sistema elettorale con premio di maggioranza che vincola con più forza di allora l’esecutivo all’espressione della sovranità popolare. Per questa ragione alcune delle argomentazioni avanzate nel 1972 sono più pregnanti oggi di allora. Ma Bassanini, evidentemente, più che al contesto istituzionale dà peso alle contingenze politiche e, tra queste, alla convenienza della sua parte che oggi, invece, sono di segno inverso rispetto ad allora”.
«Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.»