L’Expo di Milano 2015 avrà, come è già stato ampiamente scritto, anche un forte impatto sul tessuto urbano del capoluogo lombardo. Non solo il sito espositivo in sé, non solo le infrastrutture necessarie per affrontare l’alto numero di visitatori che arriveranno ma anche la messa in movimento di tutto il contesto urbano. Già i soliti catastrofisti all’Adriano Celentano hanno gridato alle prossime colate di cemento. E peraltro mentre si definisce, molto faticosamente, la macchina organizzativa per la prossima esposizione internazionale, a Milano si discute anche del nuovo strumento di programmazione urbanistica, “il piano di governo del territorio”. Che come avviene abitualmente per un’amministarzione di centrodestra (i piani del centrosinistra come quella di Walter Veltroni vengono “attaccati” solo dopo le elezioni), è già sottoposto a un intenso cannoneggiamento. Marco Vitale ha parlato di sacco di Milano sul Riformista. L’economista-consulente assume normalmente scandalizzate posizioni di denuncia contro le iniziative in cui non partecipa.
Le idee di Carlo Masseroli, assessore all’urbanisitca meneghino, sono ragionevoli: al contrario di quel che ha fatto la Roma veltroniana, si propone di compattare la città, incrementando la residenza “popolare”, con edilizia convenzionata e in affitto a costi contrattati. A questo fine mette sul piatto un incremento degli indici di edificabilità. Altre sue idee sono mirate a disegnare i vuoti urbanistici (con verde e infrastrutture), a temperare il carattere monocentrico della città d’Ambrogio (si pensa di costruire alcuni poli come quello Rho-Fiera che modifichino la logica radiale e concentrica della viabilità milanese). L’obiettivo fissato dall’assessore è una città di due milioni di abitanti per il 2030. Oggi i residenti ufficiali sono un milione e centocinquantamila, mentre con immigrati e studenti interessati a vivere in città si arriva a 1 milione e 650 mila.
Insomma non mi sembra che ci si trovi di fronte a dichiarazioni cementiero-sovversive, a un attentato degli immobiliaristi alla città. Più che al troppo cemento, bisognerebbe porgere attenzione alle parole di Claudio De Albertis, storico punto di riferimento dei costruttori milanesi e già presidente nazionale dei costruttori (Ance), che appare perplesso sulla possibilità di costruire tanta edilizia convenzionata in questa situazione e incredulo che basti modificare gli indici di edificabilità per raggiungere gli obiettivi.
Le idee milanesi, poi, per il resto appaiono abbastanza calibrate: i piani rigidi che assegnavano licenze per costruire secondo standard astratti (residenza abitativa, terziario, industria) non funzionano più in una società postindustriale. Meglio uno strumento più flessibile che consenta di raggiungere alcuni obiettivi: innanzi tutto quello della residenza popolare, poi quello di integrare meglio insediamenti e trasporti, riflettendo sulle linee di mobilità che si stanno costruendo anche in vista dell’Expo. Infine ridisegnando le zone milanesi ancora incomplete. Anche se sarebbe opportuno lasciarsi qualche area di riserva per il futuro.
Naturalmente maggiore flessibilità coincide con maggiore discrezionalità. Abbiamo detto che il solito scandalismo che accompagna le scelte di Palazzo Marino è non solo petulante ma anche scontato. Condividiamo le dichiarazioni di Masseroli su Salvatore Ligresti che rappresenta una risorsa per Milano, non certamente un nemico. E di fatto tra i suoi principali collaboratori c’è oggi quel Bruno Ferrante che era candidato del centrosinistra contro Letizia Moratti. Detto questo maggiore discrezionalità non può non significare anche massima trasparenza e neutralità della pubblica amministrazione rispetto ai vari operatori. Un criterio che è bene avere ben chiaro in mente quando si esporranno le linee del piano e che poi dovrà essere tenuto ben fermo nel momento delle scelte.