In Italia cantano vittoria scandendo il suo nome, ma lui, Barack Obama, potesse votare da noi difficilmente voterebbe per il partito di Walter Veltroni. Al di là del nome, infatti, hanno ben poco in comune i democratici americani e i loro - presunti - colleghi italiani. Basta mettere a confronto i programmi sui principali temi in agenda. Su energia, Afghanistan, Iran e tasse le posizioni dell'Asinelio e degli eredi dell'Ulivo non potrebbero essere più diverse. Eppure in Italia festeggiano come se a trasferirsi alla Casa Bianca fosse un clone di Veltroni.
Le distanze più grandi sono sulla politica estera. In campagna elettorale, Obama ha annunciato che intende rafforzare il contingente americano in Afghanistan con altri 10mila uomini. Incremento cui probabilmente seguirebbe una richiesta di più uomini e mezzi agli alleati della Nato. Obiettivo: fare di Kabul «il fronte centrale nella battaglia contro il terrorismo». Peccato che giusto due settimane fa il Pd abbia contestato il governo per l'invio di quattro cacciabombardieri Tornado nell'area delle operazioni. Poi c'è il fronte iraniano. Nel corso del secondo dibattito televisivo con fohn McCain, a Nashville, il presidente eletto non ha escluso l'opzione militare per smantellare il programma nucleare di Teheran. «Non possiamo permetterlo, io farò ogni cosa necessaria a prevenire questo scenario». Obama, inoltre, ha ipotizzato anche l'invio di truppe americane in Pakistan per raid terrestri finalizzati alla cattura di OsamaBinLaden. Politica muscolare che mal si sposa con l'attendismo diplomatico caro, ad esempio, all'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema.
La forbice tra Pd e Democrats non si restringe se l'attenzione si sposta sui temi energetici ed economici, anzi. Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti realizzeranno nuove centrali nucleari con le tecnologie di ultima generazione. Da quest'orecchio, però, i democratici italiani, nonostante qualche timida apertura, continuano a non sentirci. «Oggi non siamo pronti né per la prima pietra, né per la centrale», ha frenato Matteo Colaninno, ministro ombra dello Sviluppo economico, a proposito del piano per fi ritorno al nucleare annunciato dal governo Berlusconi. Sulla carta il presidente eletto vanta più affinità con il governo berlusconiano che con l'opposizione veltroniana anche sul complessivo mix di fonti rinnovabili, nucleare e carbone pulito da potenziare nei prossimi dieci anni per raggiungere l'indipendenza energetica. Lo stesso trittico, infatti, rappresenta l'architrave della politica del governo Berlusconi sull'energia.
Nel piano di Obama figura anche una sorta di "Robin Hood tax" da applicare sui profitti delle compagnie petrolifere. Vale la pena ricordare che un'iniziativa analoga è stata realizzata, in Italia, da Giulio Tremonti, la cui "Robin Hood tax" - presente nel decreto 112 - colpisce i redditi di banche, assicurazioni e petrolieri.