Lui divorzia da lei. Lei, impazzita per la rabbia, decide di ucciderlo. La scoprono e l'arrestano. Sembrerebbe una storia di cronaca nera come tante, consumata nella meschinità e nel dolore che schiacciano talvolta gli esseri umani. Invece no. Tutto quello che vi ho appena raccontato è avvenuto soltanto in una realtà parallela: quella virtuale del videogioco Maple Story, molto simile al famoso Second Life. Tutto, dicevamo, tranne l'arresto di una donna.
Non ci capite nulla? Spieghiamo. La polizia di Sapporo, città nel Nord del Giappone, ha arrestato ieri una donna di 43 anni, accusata di aver ucciso "l'avatar" del marito, cioè il suo alter ego in un gioco su internet. Motivazione dell'atroce delitto? Il marito aveva deciso di lasciarla e divorziare. Mica nella realtà, che pensate. Sempre nel gioco: tutto è avvenuto all'interno di Maple Story. La faccenda è soltanto una questione fra avatar, cioè gli ometti fatti di pixel che rappresentano sul computer chi decide di entrare nella "seconda vi-.ta" offerta dal web. Però la furibonda (e vendicativa) signora è stata ammanettata sul serio. Certo, si tratta di una giapponese. E in Oriente, vuole il luogo comune sui buddisti, il mondo reale è percepito come un'illusione: quindi, tutto sommato, non ci sarebbe gran differenza fra un assassinio viapc e uno tramite pistola o coltello. L'argomentazione filosofica può anche reggere: ma andatelo a spiegare alla povera 43enne, colpevole, tutt'al più di non saper capire il marito.
I fatti risalgono al maggio scorso, quando la donna, appreso del divorzio virtuale, è entrata nel videogioco utilizzano una password e un nome utente falsi. Una volta entrata, ha messo a segno il colpo, terminando il marito e difendendo il proprio onore.
E dire che la carnefice della tastiera, nella vita (quella vera) svolge un mestiere il quale ha poco a che fare con la violenza: l'insegnante di piano. Quello che lascia allibiti, tuttavia, è il fatto che la polizia l'abbia presa sul serio, che i piani fra la finzione e la realtà si siano intricati e confusi in modo apparentemente folle. Alla fine dei conti, c'è poco da ridere. Anzi, ci sarebbe da rabbrividire, pensando a quanto siamo poco soddisfatti della nostra vita se andiamo costantemente in cerca di altre identità nei luoghi più disparati della Rete.
Basti pensare al fenomeno Facebook, il network che mette in comunicazione migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo. Basta iscriversi, inserire una (o più) fotografie personali e mettersi alla ricerca di "amici" virtuali. Mentre state seduti di fronte a un computer in ufficio, sicuramente qualcuno dei vostri colleghi sta chiacchierando tramite chat con chissà chi, magari un tale che lavora in un ufficio esattamente uguale al vostro dall'altra parte dell'Oceano. Il fatto sconvolgente è che su Facebook anche i più insospettabili cambiano volto. Protetti dalla comunicazione scritta (non ci si deve guardare in faccia, si parla senza voce e senza stare vicini) gli utenti rivelano aspetti prima nascosti del carattere. C'è chi si lascia andare a commenti privati, chi pubblica fotografie molto personali o addirittura imbarazzanti.
Alla fine, in un modo o nell'altro, l'universo alternativo diventa più stimolante della realtà. Che spesso, causa lavoro e preoccupazioni, ci tedia non poco. Probabilmente, il caso della giapponese è una valida dimostrazione. Idem la storia di una giovane ragazza inglese che qualche giorno fa è stata accoltellata a morte (per davvero, stavolta) dal marito, che l'aveva sorpresa a dichiararsi single su Facebook.
Forse, dopotutto, bastarebbe alzare lo sguardo dal computer e parlare un pochino di più coi propri simili.