Birmania e Cina. Due paesi colpiti duramente dalle calamità naturali, in cui gli aiuti tardano a giungere. Nell’era della globalizzazione accade anche che una tragedia sopraggiunta improvvisamente possa oscurarne un’altra. E’ questo il paradosso che ha colpito la Cina e l’ex Birmania. L’agenda dei media, compresa quella delle più grandi testate giornalistiche italiane, è stata dirottata completamente sul terremoto che ha devastato la Cina centrale, in particolare la provincia del Sichuan, mietendo circa 71 mila vittime, mentre l’attenzione sul cataclisma birmano che si è abbattuto lo scorso 3 maggio e sul blocco degli aiuti umanitari da parte del regime è andata progressivamente calando.
Soltanto alcuni reporter e freelance sotto copertura sono riusciti a penetrare segretamente nel territorio e a girare le immagini sconcertanti che stanno facendo il giro del mondo. Gli stessi birmani che accettano di conferire con i giornalisti rischiano la vita a causa della repressione del governo. Inoltre la tv di Stato è sottoposta ad una inflessibile censura e trasmette solo immagini filtrate della giunta del generale Than Shwe in visita ai campi profughi nei pressi di Rangoon, o intenta a distribuire soccorsi alle vittime.
Di fronte a un’emergenza che il regime non può più nascondere né tantomeno gestire in modo autarchico, dopo settimane di silenzio la Birmania sta aprendo finalmente un flebile spiraglio agli aiuti umanitari. Dopo una lunga indifferenza, la giunta militare del Myanmar ha finalmente accettato di affidare ad una task force dell'Associazione dei Paesi dell'Asia sudorientale (Asean) la gestione degli aiuti inviati dalla comunità internazionale per i sopravvissuti al ciclone Nargis. Nel vertice di emergenza, tenuto a Singapore, l'Asean aveva inoltre stimato in oltre dieci miliardi di dollari le perdite causate dal cataclisma. Nei prossimi giorni finalmente i medici dell’Asean cominceranno a raggiungere la Birmania. A quel punto, tuttavia, sarà troppo tardi. Tutto procede infatti a rilento e con grandi difficoltà. Come testimoniato da un servizio della Bbc, un aereo proveniente dagli Stati Uniti è riuscito ad atterrare in questi giorni a Rangoon, ma le forniture di soccorso sono state sequestrate in tutta fretta dall’esercito.
L’Onu ha esortato la giunta militare birmana a cooperare per favorire l’arrivo degli aiuti umanitari alle vittime del ciclone. “Non c’è più tempo da perdere”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che in questi giorni visiterà le zone più colpite da Nargis.
Il ciclone ha colpito una popolazione già messa duramente alla prova da decenni di dittatura. A partire dal 2004 la recrudescenza del regime birmano ha soffocato sul nascere ogni barlume di democrazia: la leader Aung San Suu Kyi, già premio Nobel per la Pace nel 1991, è stata relegata nuovamente agli arresti domiciliari in cui versa dal 1989 e oltre mille detenuti politici, sindacalisti, attivisti e studenti sono stati rinchiusi nelle carceri. Purtroppo la decennale chiusura della giunta militare della Birmania sta conducendo la popolazione nel baratro. Secondo le ultime stime dell’Onu, il ciclone Nargis ha totalizzato 77.738 morti, 55.917 scomparsi, 150 mila sfollati e 2,4 milioni di malati bisognosi di assistenza medica.
Sono migliaia i bambini che potrebbero morire entro qualche settimana se non riceveranno del cibo quanto prima, secondo l'organizzazione non governativa Save the Children. A Rangoon manca l’elettricità, l’acqua potabile e le strade sono completamente bloccate dai detriti, dagli alberi abbattuti e dall’acqua. I trasporti non funzionano e gli abitanti della ex capitale sono senza tetto e senza generi di prima necessità e medicinali. I superstiti sono costretti ad utilizzare l’acqua contaminata del fiume Irrawaddy. Molti villaggi sono stati completamente spazzati via, e migliaia di morti sono stati ritrovati molto lontano dalle loro case, i corpi ammassati gli uni agli altri.
Cosa sta facendo Italia? La Protezione Civile ha chiesto invano di intervenire attraverso il coordinamento della Commisione Europea, offrendo la massima disponibilità ad inviare i soccorsi, ma ha ricevuto il veto di Rangoon. La Farnesina ha disposto degli aiuti economici in risposta alla richiesta rivolta dalla Federazione Internazionale delle Croci Rosse e delle Mezzalune Rosse. Il ministero degli Esteri ha distribuito 1.000.000 di euro attraverso un fondo per le emergenze gestito dall’Ufficio delle Nazioni Unite e un contributo di 300.000 euro all’invio di generi sanitari di emergenza effettuato, attraverso un volo promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il ministero ha predisposto anche un volo umanitario organizzato attraverso il Programma Alimentare Mondiale, con un carico di 30 tonnellate di beni di prima necessità richiesti dalle autorità del Myanmar.
Vorrei concludere lanciando un appello a tutte le forze politiche e alle associazioni umanitarie, affinché si eserciti pressione sul regime birmano e s’intervenga con urgenza. Mi rivolgo anche ai direttori dei più grandi quotidiani e delle emittenti televisive italiane, affinché mantengano alta la copertura mediatica sulla catastrofe birmana. Nei prossimi giorni contatterò le associazioni umanitarie affinché si svolga una manifestazione davanti all’ambasciata birmana in Italia. Di fronte a tale scempio il silenzio delle democrazie è assordante quanto il fragore del sisma.
di Souad Sbai