Come si esprima il voto, lo sanno più o meno tutti. Quale effetto produca la croce segnata su una scheda elettorale, sembra un mistero perlamaggioranza. L'altra sera, a Ballarò, si sono confrontate tutte le opinioni sul sistema, fuorché una descrizione reale del suo funzionamento.
Ci vuole un tecnico come prime 100 ore a spiegare i trucchi e i segreti del Porcellum. «Chiamiamole "leggi vigenti"», precisa l'esponente dei riformatori liberali. Non è proprio tutto il pasticcio che ci viene presentato, anzi per lui è tutto chiarissimo.
«La lista o la coalizione di liste che ha preso più voti in termini di maggioranza relativa, ma senza raggiungere il 55% dei suffragi, ottiene 340 seggi su 617 alla Camera dei Deputati, salvo il seggio della Val d'Aosta e i 12 delle circoscrizioni all'estero». E gli altri? «A tutte le altre liste o coalizioni spettano i restanti 2 77 seggi». Semplice, se fosse tutto qui. Ma «siccome 340 seggi corrispondono circa al 55 per cento dell'assemblea di Montecitorio, questo si verifica qualora la lista o la coalizione vincitrice non abbia già conseguito questo risultato. Se per esempio chi vince ha ottenuto il 56 per cento dei voti, il premio non scatta perché è stato già conseguito quel risultato».
Attenzione, però, perché «si contano anche i voti delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento». È qui che iniziano, con il maggioritario, anche i primi ostacoli alla proliferazione dei partitini minuscoli: «Se una lista corre da sola deve superare il 4 per cento. Se invece corre in una coalizione che supera complessivamente il 10 per cento, allora la soglia scende al 2 per cento», spiega Calderisi.
Con un'eccezione, prevista dalla legge, secondo la quale «per ciascuna coalizione che supera il 10 per cento dei voti viene ammessa al riparto dei seggi anche una sola lista che sia rimasta sotto il 2 per cento, cioè quella che ha preso più voti». Il ripescaggio si era verificato alle politiche del 2006, salvando così l'Udeur di Mastella sul fronte del centrosinistra e con la Dc di Rotondi nel centrodestra, che ottennero una rappresentanza parlamentare proprio in virtù di quest'ultima norma. C'è anche un motivo ragionevole, dietro quello che appare come un inghippo: «Per determinare chi ha vinto le elezioni, il calcolo deve essere compiuto su tutti i voti della coalizione. Tutto fa brodo». E, infatti, la vittoria di Romano Prodi nel 2006 fu in parte dovuta alle poche migliaia di voti della lista di Alleanza autonomista lombarda, che riuscì a stringere con il centrosinistra un accordo che il centrodestra rifiutò.
«All'interno della coalizione, a quel punto, ogni lista ammessa concorre al riparto dei seggi». In virtù della percentuale ottenuta? «Sì, ma si fa un calcolo nazionale e poi si procede per ogni singola circoscrizione».
È per questo che Calderisi definisce il sistema «proporzionale con eventuale assegnazione di un premio di maggioranza».
Meccanismo che si complica un pò ' al Senato, dove il calcolo avviene su base regionale, tranne che in Trentino-alto Adige dove 6 collegi su 7 sono uninominali e non è previsto il ripescaggio e si alzano le soglie di sbarramento e invece di 10, 4,2 per cento si passa a 20,8 e 3 per cento.
Quel che rimane invariato è l'indicazione obbligatoria, per ogni lista od ogni coalizione, del "capo della forza politica", come lo definisce la legge. E questo impedisce di presentare liste apparentate con una coalizione in una regione mentre si corre da soli in un'altra. Liste o coalizioni concorrenti non possono indicare uno stesso leader, infatti. Perciò, anche stavolta, «conviene andare con tutti gli alleati», conclude Calderisi, anche se per vincere non sarà più necessario raccogliere tutti i mini-partitini che spunteranno sulla scena politica.