«Esiste una intensa e spregiudicata campagna propagandistica a favore dell'aborto chimico. Quasi nessuno cita le morti da pillola RU 486: 16 morti accertate nel mondo. Ma quante sono quelle non denunciate, non registrate? Perché sono fatti che molto difficilmente diventano "notizie"». Lo spiega Eugenia Roccella, portavoce del "Family Day" nonché editorialista del quotidiano della Cei Avvenire. Gli studi sul tema non sono molti, anzi in Italia esiste praticamente solo il libro scritto dalla Roccella e da Assuntina Morresi «La favola dell'aborto facile. Miti e realtà della pillola Ru 486». Un testo "di riferimento" è lo studio pubblicato nel 2005 dal New England Journal of Medicine, una fra le più prestigiose riviste al mondo, studio nel quale si constata che il rischio di mortalità legato a questa pillola abortiva è molto superiore rispetto a quello con tecnica chirurgica, più esattamente di dieci volte maggiore. Poca, pochissima informazione, dunque. «Negli Stati Uniti il discorso è diverso», spiega la Roccella, «perché sulla questione della protezione della salute pubblica non si scherza assolutamente. E perciò un quotidiano come il New York Times, fortemente pro-choice, filoabortista, ha ampiamente informato sulle morti e gli eventi avversi provocati dal farmaco, mentre l'inglese Times, poche settimane fa, ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La brutale verità sull'aborto chimico», in cui ha definito la Ru 486 horror-pili».
Il motivo di «tante censure e bugie», qui in Italia, è chiarissimo, sempre secondo la portavoce del Family Day: «l'obiettivo non è offrire alle donne una scelta in più, come molti sostengono. Perché, poi, schiere di assessori, governatori regionali, parlamentari dovrebbero intervenire così pesantemente su questioni come l'aborto e la pillola abortiva?» Introdurre in Italia la Ru 486, serve in realtà, conclude la Roccella, «come strumento per smontare la legge 194 sull'interruzione di gravidanza, come è già avvenuto in Francia. L'aborto "a domicilio" abolisce le garanzie offerte dall'assistenza sanitaria pubblica e riporta l'aborto tra le mura domestiche, in una forma legale di clandestinità».
Il professor Francesco D'Agostino, ordinario di Filosofia del diritto all'Università di Tor Vergata e presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica, conferma: «Che la pillola abortiva sia obiettivamente molto più pericolosa dell'aborto chirurgico è ormai dato acquisito e fuori discussione. E mi ha molto preoccupato il fatto che i medici italiani non siano stati in prima linea nel denunciare fortemente i rischi della RU 486». «Ma nel criticare la pillola preferisco non usare solo riferimenti strettamente scientifici, anche perché nel futuro prossimo questi stessi rischi potrebbero essere eliminati. Quello che vorrei mettere in rilievo è il senso profondamente umiliante e tragicamente simbolico di una donna che abortisce da sola, in casa, anzi in bagno. E dunque, anche se l'aborto farmacologico non fosse rischioso - e invece sappiamo bene quali grandi problemi esso provochi alle donne - rimane comunque psicologicamente ancora più lacerante». Inoltre, la proposta del ministro Turco di far somministrare la RU 486 sotto controllo in ospedale «puzza di trucco, visto che comunque la donna che viene ricoverata per questo motivo può comunque andarsene quando vuole e il medico non può obbligarla a continuare la degenza».
E per tornare ai dati sui rischi e i decessi provocati dall'uso della RU 486, «nel tempo le morti sono aumentate, insieme alla confusione sulle cause di questi decessi», sottolinea Assuntina Morresi, docente universitaria ed esperta di temi di bioetica. «Purtroppo le notizie su queste tragedie sono scarse e poco controllabili», conferma la Morresi. Che però rileva: «I dati sulla pericolosità dell'uso della pillola sono incontrovertibili. Ricordo lo studio del New England Journal of Medicine, poi bisogna citare gli studi condotti dal dottor Ralph Miech; secondo le sue ricerche, infatti, delle due pillole di cui in realtà è "composta" la RU 486, la prima interferisce con il si-stema immunitario della donna e potrebbe depotenziare le difese naturali all'invasione del Clostridium Sordellii, che è il batterio responsabile delle infezioni che hanno causato la morte di nove delle sedici donne morte dopo l'aborto farmacologico».