i fatti:
Libero di oggi
In Italia si puo essere condannati a un anno e mezzo per un articolo che non si e mai scritto e che e stato pubblicato su un giornale del quale non si e nemmeno il direttore responsabile. fe successo a Vittorio Feltri, oggi direttore di Libera, ma nell'ottobre del 1999, ovvero all'epoca dei fatti oggetto del processo, direttore editoriale del Qn, il fascicolo nazionale dei quotidiani Resto del Garlino, Nazione e Giorno. Feltri e stato condannato ieri in primo grado dal giudice monocratico di Bologna Letizia Magliaro per concorso con «ignoto articolista» nel reato di diffamazione del senatore Ds Gerardo Chiaromonte. Nello stesso processo e stato assolto Gabriele Cane, allora direttore responsabile del Resto del Garlino.
II Qn - del quale peraltro, come detto, Feltri non era direttore responsabile, ma direttore editoriale - aveva pubblicato, come fatto da tanti altri giornali, il primo elenco dei nomi dei poli-tici contenuti nel dossier Mitrokhin, diffuso l'11 ottobre del 1999 dalla Gommissione Stragi. II dossier redatto dall'archivista del Kgb e diffuso dalla commissione Stragi conteneva, come noto, oltre 200 schede di semplici "contatti", presunti informatori o agenti del servizio di spionaggio sovietico. II Qn, per mano di un giornalista ignoto, inserì, tra gli altri, il nome di Chiaromonte (scomparso poi nel 2003), senza alcun commento e senza che comunque gli fosse addebitato alcun rapporto particolare con il Kgb («gia parlamentare Pci» è l'unica cosa che si diceva di lui). Peraltro, nell'articolo oggetto della querela, era riportato a chiare lettere il commento del parlamentare Marco Taradash, componente della Gommissione Stragi, il quale avvertiva: «Alcuni dei personaggi che compaiono nel dossier non hanno mai preso soldi dai russi ne erano consapevoli di essere stati contattati dal Kgb». L'esponente di Botteghe Oscure risulto ad ogni modo del tutto estraneo a ogni rapporto con i servizi segreti sovietici.
II primo a esprimere il proprio sconcerto per la pesante condanna inflitta a Feltri e stato Silvio Berlusconi, il cui gover-no si era impegnato a far approvare entro questa legislatura la legge per la depenalizzazione dei reati a mezzo stampa. «Resto sconcertato di fronte alia notizia che un giornalista del calibro e con la storia professio-nale di Vittorio Feltri venga condannato, per di piu ad una pena assolutamente straordinaria, un anno e mezzo di reclusione, per un reato di opinione», ha detto il presidente del Gonsiglio. «Una pena», ha aggiunto il premier, «che in Italia non viene comminata per reati ben piu gravi». A questo pun to, ha con-cluso Berlusconi, «e definitivamente urgente la depenalizzazione dei reati a mezzo stampa che la Camera ha gia approvato a larga maggioranza», ma che non e stata convertita in legge. Parole di stupore per la condanna sono giunte anche dal parlamentare azzurro, e avvocato, Niccolo Ghedini: «Non si può che esprimere la massima solidarieta a Vittorio Feltri, giornalista di grandissima pro-fessionalita e pregio, che e stato condannato ad una pena davvero incredibile e che non ha riscontro neppure per reati assai piu gravi». Ora, awerte Ghedini chiamando direttamente in causa l'esecutivo, «il governo e il Parlamento debbono intervenire urgentemente per eliminare dal nostro sistema giu-diziario una previsione normativa anacronistica e che tende a eliminare le libere voci».
il corriere della sera
Il giudice monocratico di Bologna Letizio Magliaro ha condannato il direttore di Libero, Vittorio Feltri, ad un anno e sei mesi per la diffamazione del senatore Ds Gerardo Chiaromonte, poi scomparso nel 2003. Il processo era relativo ad un articolo apparso a fine anni '90 sul Qn, il quotidiano nazionale della Poligrafici Editoriale, proprietaria anche de Il Resto del Carlino, la Nazione e il Giorno, di cui a quel tempo Feltri aveva assunto la direzione.
Nel pezzo il nome del senatore veniva indicato come uno di quelli inseriti nel dossier Mitrokhin, ovvero la lista di collaboratori occulti dell'Unione Sovietica compilata da un ex archivista del Kgb. Feltri, in particolare, era direttore di Qn. Nello stesso processo, invece, è stato assolto Gabriele Canè, allora direttore de il Resto del Carlino.
Sulla condanna a Feltri ha preso posizione anche il premier Silvio Berlusconi: «Resto sconcertato di fronte alla notizia che un giornalista del calibro e con la storia professionale di Vittorio Feltri venga condannato, per di più ad una pena assolutamente straordinaria, un anno e mezzo di reclusione, per un reato di opinione» ha detto il Cavaliere in una nota. Si tratta, ha aggiunto di «una pena che in Italia non viene comminata per reati ben più gravi. A questo punto è definitivamente urgente la depenalizzazione dei reati a mezzo stampa che la Camera ha già approvato a larga maggioranza».
Feltri ha deciso che risponderà direttamente dalle pagine del suo giornale. «Feltri condannato al carcere» è il titolo della prima pagina di Libero di martedì. Più sotto il catenaccio: «Un anno e mezzo di galera per una querela sulla lista Mitrokhin, colpa di una legge che non è stata cambiata».
l'unità
Il giudice monocratico di Bologna Letizio Magliaro ha condannato il giornalista Vittorio Feltri, attuale direttore del quotidiano «Libero», ad un anno e sei mesi per la diffamazione del senatore Ds Gerardo Chiaromonte, scomparso nel 1993. Il processo era relativo ad un articolo apparso a fine anni '90 su «Qn», il quotidiano nazionale della Poligrafici Editoriale, proprietaria anche de «Il Resto del Carlino», «la Nazione» e «il Giorno». Nel pezzo il nome del senatore veniva inserito nel “dossier Mitrokhin”. Proprio alcuni giorni fa, la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per gli ex primi ministri Prodi e D’Alema per i reati di interessi privati in atti di ufficio nell’ambito del dossier Mitrokhin.
Feltri allora era direttore di «Qn». Nello stesso processo, invece, è stato assolto Gabriele Canè, allora direttore de «il Resto del Carlino». Berlusconi è scattato subito nella difesa del giornalista. «Resto sconcertato di fronte alla notizia che un giornalista del calibro e con la storia professionale di Vittorio Feltri venga condannato, per di più ad una pena assolutamente straordinaria, un anno e mezzo di reclusione, per un reato di opinione».
«Una pena -aggiunge il premier- che in Italia non viene comminata per reati ben più gravi. A questo punto è definitivamente urgente la depenalizzazione dei reati a mezzo stampa che la Camera ha già approvato a larga maggioranza».
la padania
Un anno e sei mesi. Questa la condanna al direttore del quotidiano Libero, Vittorio Feltri. A comminarla il giudice monocratico di Bologna, Letizio Magliaro.
Piuttosto difficile comprendere il metro usato dalla giustizia italiana. Un esempio su tutti. Pochi giorni fa, un senegalese, condannato a dieci mesi con la condizionale per aver tentato di violentare una donna a Catanzaro, è stato “costretto” a pagare la salatissima multa di un centesimo di euro. La notizia fa storcere il naso già di per sé. Ancor più se confrontata con quanto deciso, ieri, dal giudice monocratico di Bologna che ha condannato il giornalista Feltri a un anno e sei mesi per aver diffamato il senatore diessino, Gerardo Chiaromonte, poi scomparso nel 2003. Il processo era relativo a un articolo apparso a fine anni Novanta su Qn, il quotidiano nazionale della Polgrafici Editoriale, proprietaria anche de Il Resto del Carlino, la Nazione e il Giorno. L’articolo incriminato, all’interno del quale era apparso il nome del senatore del Botteghino inserito nel copioso “dossier Mitrokhin”, era apparso nelle pagine di Qn quando Vittorio Feltri era direttore. Nello stesso processo, invece, è stato assolto il giornalista Gabriele Canè, allora direttore de Il Resto del Carlino.
La pena che ieri ha investito Feltri ha pesantemente scosso il panorama politico italiano. «Resto sconcertato di fronte alla notizia che un giornalista del calibro e con la storia professionale di Vittorio Feltri venga condannato, per di più a una pena assolutamente straordinaria, un anno e mezzo di reclusione, per un reato di opinione», interviene il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Una pena che in Italia non viene comminata per reati ben più gravi - continua il premier -: a questo punto è definitivamente urgente la depenalizzazione dei reati a mezzo stampa che la Camera ha già approvato a larga maggioranza»